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Esodo

PASQUA E LIBERTA.download50   pdf50

L’uscita dall’Egitto e il passaggio del mare (Esodo 13-15)
Il papiro Anastasi V e gli altri documenti
Anche per l’uscita dall’Egitto e il passaggio del mare, la situazione dello storico non cambia molto. Esiste tuttavia, a proposito del passaggio del mare, un racconto analogo in un documento egiziano, il papiro Anastasi V. Esso contiene il resoconto di un ufficiale di frontiera fra l’Egitto e il deserto del Sinai su un evento accaduto durante il suo tempo di servizio. L’Egitto aveva infatti installato posti di frontiera all’est del paese per sorvegliare le infiltrazioni di nomadi provenienti dalla penisola del Sinai o la fuga di schiavi dall’Egitto. In questo resoconto, l’ufficiale dice che alcuni schiavi sono riusciti a sfuggire alla sua sorveglianza nascondendosi di notte nelle canne delle paludi della regione. Occorre ricordare che prima della costruzione del celebre canale di Suez l’istmo che separava il Mediterraneo dal Mar Rosso era in parte una regione lagunare e paludosa.
Altri antichi testi egiziani documentano il passaggio di schiavi fuggiaschi che lasciavano l’Egitto per tornare a vivere liberi nel deserto. Anche ufficiali egiziani fuggivano in questa direzione quando la loro situazione alla corte diventava insicura, come racconta per esempio un certo Sinuhe (1962-1928 a.C. circa). Questo personaggio attraversa un lago in una barca, poi si nasconde dietro a un cespuglio e approfitta dell’oscurità per sfuggire alle sentinelle che sorvegliano i movimenti delle popolazioni del deserto su un muro costruito dai Faraoni per questo scopo. Sarà accolto nel deserto da uno sceicco che l’aveva incontrato prima in Egitto.
La mancanza di documentazione e le sue ragioni
Tutto ciò permette di dare lineamenti più concreti al racconto del passaggio del mare, di notte (Esodo 14,20.21.24.27). Questo “mare” di cui parla il testo sarebbe comunque con più probabilità uno dei laghi dell’istmo di Suez piuttosto che il Mar Rosso. Però ogni tentativo di precisare la data dell’esodo in modo non troppo approssimativo rimane infruttuoso. Vi sono stati troppi esodi di schiavi semiti fuggiti dall’Egitto per poter dire quale fra di essi è proprio quello di cui parla la Bibbia.
Inoltre, gli archivi egiziani non hanno registrato alcuna scomparsa di un esercito egiziano nel mare mentre inseguiva un gruppo di Israeliti usciti sotto la guida di un certo Mosè. Non ricordano neanche la morte di un Faraone annegato nel mare. In realtà le cronache del tempo non registravano facilmente sconfitte. E, più probabilmente ancora, avvenimenti come quelli che racconta la Bibbia erano solo aneddoti senza importanza per la corte del Faraone. L’esodo è un evento fondamentale per la fede d’Israele; è molto meno probabile che abbia lasciato tracce nella storia dell’Egitto.
Il miracolo del mare
Il “miracolo del mare” descrive un evento che si può ricostruire in maniera verosimile senza troppe difficoltà. Il gruppo di schiavi ebrei fuggiaschi è stato inseguito da un reparto di carri egiziani (Esodo 14,5-10). Sono arrivati nella regione degli acquitrini che separano l’Egitto dal deserto (14,2.9). Gli egiziani, però, non sono riusciti a raggiungerli prima del tramonto. Dopo il tramonto e durante una grande parte della notte, un forte vento dell’est ha scoperto una parte della sponda di un lago della regione (14,9 e parte del v. 21). Se erano vicini al mare, al vento si è forse aggiunta la marea. Comunque, i carri egiziani si sono molto probabilmente inoltrati su questa parte della spiaggia. Il racconto biblico non lo dice esplicitamente, ma è una delle spiegazioni suggerite dal racconto. In più, nella notte, una forte nebbia (o una nuvola di sabbia sollevata dal vento) ha impedito agli egiziani di vedere e di riprendere gli Israeliti (14,20 e parte del v. 21). Verso il mattino – qui bisogna di nuovo introdurre un elemento che il racconto non fornisce esplicitamente – il vento è caduto e il mare è tornato al suo posto abituale (14,24). I carri egiziani sono rimasti arenati nel fango (14,25), le onde però si muovevano con grande velocità e non vi è stato via di scampo per gli Egiziani che sono morti annegati perché sono fuggiti verso il mare che infatti veniva incontro a loro (parte di 14,27-28). All’alba, gli Israeliti hanno scoperto i cadaveri sulla sponda del mare (14,30).
La visione più conosciuta e tramandata dai grandi film holliwoodiani sull’esodo, vale a dire il passaggio del mare fra due mura d’acqua, l’uno a destra e l’altro a sinistra, proviene da un racconto più recente che ha chiaramente abbellito e ampliato la tradizione più antica (vedi Esodo 14,21 b-22.29). Questo racconto appartiene alla cosiddetta tradizione sacerdotale, uno scritto che risale all’epoca postesilica.
(Da Jean Louis Ska, La parola di Dio nei racconti degli uomini)
La banalità dei fatti e il rischio della fede
La scena che si svolge sulla sponda del mare (cfr. 14,1-31) è altamente drammatica: in fondo non è possibile che l’umanità viva un dramma più intenso di quello che caratterizza il passaggio dall’evidenza della propria debolezza alla fede in Dio. Questa fede non nasconde in nessun modo i pericoli a cui si va incontro: anzi, semmai, ne rivela ancora qualcun altro; per questo essa non è affatto un cieco superamento delle cose, né una spensierata rinuncia a darsi pensiero di fronte ai guai della vita, ma anzi essa è il massimo tra i rischi che danno forma alla vita umana: un rischio che ci impone di giocare tutto – e ad occhi aperti – sulla fiducia di essere radicati in Dio. Questa fede non è una fuga dal mondo, ma è, semmai, la più densa esperienza della povertà del mondo. È così che essa diviene anche la più pura esperienza di libertà: una libertà che accetta il rischio di sperare in Dio, quando tutte le nostre paure vorrebbero rinchiuderci nella constatazione della nostra disperazione. Il dramma tocca qui le note più acute. A dire il vero, comunque, la grandezza della pagina in cui ci viene raccontato l’evento del mare (cfr. 14,15-31), deve fare i conti con la possibilità di ricostruire il fatto storico che sta probabilmente all’origine di tutto. È certo che tale fatto non rappresentò altro che una modestissima scaramuccia di frontiera. Un gruppo di poche migliaia di Israeliti, mentre tentava di fuggire dall’Egitto, venne sorpreso da un agguerrito reparto di polizia egiziana, dotato di cavalleria corazzata. Il terrore fu tale che gli Israeliti rimasero immobilizzati dove si trovavano, sulla sponda di un lago di frontiera. Mentre Mosè li incoraggiava ostinatamente, per tutta la notte un forte vento orientale (cfr. 14,19s.) buttò abbondante sabbia in faccia agli Egiziani, impedendo loro di attaccare. Il vento risparmiò gli Israeliti perché questi avevano ad est l’acqua del lago; inoltre, esso scoprì tutta una fascia di bassifondi paludosi. Finalmente, quando al mattino gli Egiziani, ormai infastiditi e frastornati dal vento, attaccarono, essi si trovarono ad inseguire i fuggitivi su un terreno umido e fangoso, dove i loro pesanti carri non riuscirono a manovrare (cfr. 14,24s.). Ed è così che essi diventarono facile bersaglio per gli arcieri israeliti. Tutto quindi sembra ridursi ad un banalissimo fatterello, di ridotte proporzioni, che non ha trovato posto in nessuna narrazione storica ufficiale. Dei fuggiaschi, braccati dalla polizia di frontiera, sulla riva di un certo lago hanno ottenuto – in seguito ad un’abile ed audace azione di guerriglia, e con l’aiuto di particolari fenomeni atmosferici – un’insperata vittoria sui loro inseguitori. Eppure, per gente ormai disperata quella vittoria è stata compresa come un evento di salvezza: è stato Dio che ha ottenuto la vittoria, è stato lui – dirà un’altra tradizione – che ha aperto il mare, l’ha fatto attraversare agli Israeliti, ed ha sommerso sotto le acque «i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone» (14,28). Nella banalità della sua storia Israele ha scoperto la presenza meravigliosa di Dio, il giorno in cui si è accorto, rischiando tutto sulla fede, che la sua fragilità umana era sostenuta dalla forza di Dio stesso.
Un Dio che salva e un popolo educato alla fede
Questa pagina, che di per sé racconta un fatterello banale, diventa dunque un momento decisivo della storia d’Israele, perché questo è il .giorno in cui quella storia assume il valore esemplare di Storia della Salvezza: «In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani» (14,30). Così, lungo i secoli, ripetendo queste parole, resterà vivo il ricordo, a cui è aggrappata tutta la storia del popolo di Dio: «In quel giorno il Signore salvò Israele». In questo annuncio si riassume tutta la novità del segreto, che Israele ha scoperto nascosto nelle profondità della storia umana: Il Signore è un Dio che salva; e «salvare» significa ribaltare i destini del mondo. Gli Israeliti hanno appunto vissuto, alle origini della loro storia, l’esperienza travolgente di una libertà miracolosa, fondata integralmente sull’intervento, incomprensibile e gratuito, del Signore. A partire da queste origini tutta la loro storia andrà acquistando il significato perenne di una Storia della Salvezza valida per tutti i popoli della terra. In quel giorno Israele ha imparato ad aver fede, perché ha compreso di essere sostenuto dalla potenza del Signore, che mai abbandona il suo popolo. In quel giorno Israele ha rischiato tutto e si è affidato al mistero della presenza di Dio: ha giocato tutto senza contropartite, con un atto di fede matura; non ha trattenuto nulla per sé, nemmeno la sua paura, la sua angoscia, la sua povertà: tutto ha rischiato provando a confidare soltanto in Dio; ed ecco il miracolo: Dio ha sostenuto la fiducia dei deboli, ha confortato la speranza dei disperati, ha vinto una battaglia ormai perduta. Dinanzi a Dio che capovolge la condizione dell’umanità, è possibile soltanto credere: «Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto e il popolo temette il Signore e credette in lui e nel suo servo Mosè» (14,31).
(Da Pino Stancari, Letture spirituali dell’esodo)