La Via

La Via 3 aprile

 QUESTIONE DI PIETRE.

(Gv 8,1-11).

 Le pietre attraversano tutto il tempo di Quaresima.

Ne segnano l’inizio (durante le tentazioni di Gesù nel deserto) e la fine (la pietra del sepolcro).

Nel mezzo ci sono le pietre di oggi, quelle che scribi e farisei avevano in mano.

Verrebbe da dire che le pietre bisogna lasciarle dove sono.

Soltanto l’eccezionalità della Resurrezione ammette il loro spostamento.

Ma risorgere significa entrare in una vita nuova, compiere gesti segnati dal definitivo trionfo sulla morte.

Prima di questa novità di vita, anzi, finché non si giunge ad essa siamo chiamati a non imporre la nostra volontà di possesso e il nostro giudizio sugli altri.

A questo sembra infatti alludere il simbolo quaresimale della pietra.

Gesù durante le tentazioni non trasformò le pietre in pane per resistere al suo bisogno di cibo e quindi per non imporre questo suo stesso bisogno e non farlo diventare criterio di vita.

Gli scribi e farisei di oggi devono riporre a terra le pietre per non imporre sulla donna peccatrice il proprio giudizio morale.

Quegli uomini si sentivano paladini della giustizia ma Gesù li chiama alla consapevolezza della loro condizione di peccatori: la loro medesima fragilità rende impossibile arrogarsi il diritto di vita e di morte su un loro simile.

Anche noi siamo chiamati a lasciar cadere dalle nostre mani le pietre della denigrazione e della condanna, del chiacchiericcio che a volte vorremmo scagliare contro gli altri.

Avere a che fare con le pietre significa quindi prendere contatto con se stessi e con i propri limiti.

E saper fare pace con tutto ciò.

Non una pace di chi si adagia nel proprio peccato, ma quella di chi si sa perdonato da Dio.

Il perdono infatti, quello vero, genera un dinamismo che porta al cambiamento.

Penso che non ci sia porta d’ingresso migliore alla settimana santa che domenica prossima inizierà se non avere a che fare con le pietre e scoprirsi umili.

E chiedere a Dio che (solo Lui può farlo) rimuova la pietra dal sepolcro del nostro cuore.

Don Umberto