La Via

La Via 22 novembre

LE PAROLE FINALI

(Mt 25,14-30).

Spesso le cose più importanti si dicono alla fine.

Quando si è sul punto di chiudere porta per andarsene, nell’ultimo abbraccio, a volte in punto di morte.

Lì è il momento in cui si dice l’essenziale, si esterna ciò che non si può fare a meno di dire.

Gesù fece il suo primo discorso (nel Vangelo di Matteo) sulla felicità.

Pronunciò le beatitudini e quello fu come il suo manifesto programmatico.

La pagina di oggi invece presenta il suo ultimo discorso prima della passione e morte in croce.

E questo discorso ha a che fare con l’essere uomini.

Cosa significa vivere la propria umanità?

È come se tutto il cammino del Vangelo conducesse esattamente in questo punto: recuperare e vivere in pienezza la nostra umanità.

Si è uomini quando ci si accorge che esiste qualcos’altro e qualcun altro oltre i nostri bisogni.

Al di là della nostra voracità, dei nostri appetiti e del nostro essere concentrati su noi stessi esiste un mondo fatto di persone che invocano vicinanza.

Per questo è necessario vigilare sulla propria umanità ancor di più oggi.

È vero che si può custodire l’altro e aiutarlo tenendosi a distanza.

Ma è soprattutto vero che questa distanza crea solitudini ancor maggiori, equilibri economici sempre più gravi, psicosi sempre più dannose.

Vigilare sulla propria umanità è prenderne coscienza e agire.

A volte siamo distratti e ci sfuggono anche i più semplici ed elementari gesti che ci fanno essere solidali e per questo più umani.

In tutte le richieste di vicinanza è Cristo stesso a farsi presente alla nostra vita.

E ciò, per noi credenti, è un vantaggio.

È la risposta più chiara a quella voce della tentazione di dire “perché devo farlo?”

Ed è anche una garanzia di continuità: non essere mossi solo dalla compassione né solo dal senso di giustizia.

Ma anche da un legame con Gesù che diventa concreto, fisico, carnale.

E non a distanza.

Don Umberto