La Via

La Via 22 novembre

VENGA IL TUO REGNO (Gv 18, 33b-37)download50

Forse Pilato voleva veramente capire.
E forse per questo Gesù, che ha taciuto davanti alle autorità del Sinedrio, qui con Pilato parla.
Parla quasi gli riconoscesse quel desiderio di capire;
mentre a coloro che si rivolgono a te pieni di pregiudizi, con le loro idee già preconfezionate e immutabili, è piuttosto inutile parlare.
Pilato no; voleva davvero comprendere di che regno e di che re si trattasse.
Perché i conti non gli tornavano.
Avevano parlato di Gesù come di un gran re, ma quello straccione che gli stava davanti non aveva proprio l’aria di esserlo.
Poteva prenderlo in giro, poteva allontanarlo subito senza perdere tempo con uno così. E invece no.
Vuole capire: “dunque tu sei re?”
Dovremmo porla anche noi al Signore questa domanda. Dovremmo porla per raccogliere tutto il paradosso della risposta: “il mio regno non è di questo mondo”.
Ma se non è di questo mondo perché lo invochiamo tutti i giorni?
Se questo regno non è della terra, ma dell’al di là , del cielo, perché preghiamo “venga il tuo regno”?
Me lo chiedo. Ma più profondamente mi chiedo cosa intendo dire quando invoco questo regno. E se sono onesto nell’invocarlo o non lo rivesto piuttosto di tutte le mie aspettative.
Perché dire “venga il tuo regno” significa credere che il mondo potrà davvero cambiare e che il fine della storia sarà felice.
Dire “venga il tuo regno” significa essere disposti a rimetterci di persona piuttosto che un fratello o una sorella venga danneggiato.
Dire “venga il tuo regno” significa la cura e la vicinanza a tutto ciò che di più povero e vulnerabile c’è nel mondo o in se stessi.
Dire “venga il tuo regno” significa perdonare anche chi ti sta uccidendo. Anche il fanatico.
Tutto questo è il regno
Un pugno nello stomaco.
È come la festa organizzata per il ritorno del figlio scialacquatore, quel poco di buono senza cervello.
E allora mi chiedo, qualora questo regno venisse, se io, se noi, saremmo disposti ad entrarvi.
Non saprei.
Personalmente avrei bisogno di una spinta.

Don Umberto