La Via 18 ottobre
LOGICHE EVANGELICHE (Mc 10,35-45)
Già qualche domenica fa, abbiamo trovato un Gesù che, dopo l’annuncio della sua passione, invece di ricevere ascolto e comprensione da parte dei suoi, si trova di fronte al silenzio imbarazzato dei discepoli che, dimostrando un’immensa insensibilità, sono piuttosto intenti a descrivere i propri meriti. Oggi Marco, e quindi Pietro, torna sul tema.
(Amo Pietro, teneramente. Si sente la lacerante ferita che gli è rimasta nel cuore. Non ha paura, ancora e ancora, ora che sa, di dire che non aveva capito nulla).
I protagonisti oggi sono Giovanni e Giacomo. Giovanni il perfetto, il mistico, l’aquila, il profondo, chiede a Gesù una raccomandazione, chiede di sedere alla destra di Gesù nel momento in cui si fosse instaurato il regno dei cieli, concepito come un regno politico e immediato.
Non basta avere avuto grandi doni mistici e segni della presenza di Dio nella preghiera per evitare di commettere errori madornali: anche i fratelli e le sorelle che, in mezzo a noi, hanno scelto la strada della contemplazione devono sempre vegliare sul rischio della gloria mondana voluta e cercata…
Gesù è sconcertato, nuovamente. Sa che il suo Regno è servizio, sa che questa sua posizione gli costerà del sangue e questi parlano di privilegi e di cariche, di bonus e di benefit.
Gli altri apostoli, scocciati, se la prendono con i due fratelli di Cafarnao.
Perché gli hanno soffiato l’idea!
Gesù insegna, ancora: il loro ruolo non è quello di comandare, ma di amare e servire, come lui, l’unico Maestro, ha saputo fare.
Possiamo interrogarci evangelicamente, con franchezza, sul nostro modo di concepire la Chiesa.
Penso, in particolare, a quanti hanno compiti e responsabilità all’interno della comunità: vescovi, sacerdoti, ma anche catechisti e animatori.
E penso che dobbiamo ancora fare tanta strada, stare attenti a non cadere nell’inganno della mondanità, guardare sempre e solo al Maestro, che ha amato, senza attendersi dei risultati e ottenendoli proprio dando il meglio di sé, in assoluta umiltà e mitezza.
La comunità è chiamata a dare una testimonianza di misericordia e di perdono, a partire dal proprio interno. Ma prima anche noi dobbiamo passare nel torchio della croce, sperimentando la nostra povertà per abbracciare ogni uomo con quello sguardo di tenerezza e di misericordia che Dio posa su di me.
Potere da gestire come servizio alla felicità dell’altro. Potere che può e deve diventare gioia di suscitare nell’altro potenzialità e risorse a lui stesso sconosciute.
Possano le nostre comunità, marchiate dalla croce, mettersi a servizio dell’umanità, diventare missionarie di misericordia, di tenerezza, di servizio. Gratuità, sorriso, piena umanità che, ricevute da Cristo, contagiano i nostri quartieri, le nostre famiglie, le nostre scuole.
Passiamo dalla logica del sospetto a quella della fiducia, dalla logica dell’accaparramento a quella della condivisione.
Fra noi sia così, fra noi è così, se ci accosteremo al distributore di grazia, come suggerisce la lettera agli Ebrei, il Signore Gesù. Lui, l’amico degli uomini, l’Amante senza misura, la sorgente della tenerezza, che ci chiama a diventare suoi testimoni.
Don Paolo Curtaz