La Via

La Via 11 ottobre

UNA TRISTEZZA EVITABILE    (Mc 10,17-30).download50

Dentro quella corsa c’è tutto il suo desiderio.
“Corse da Gesù” dice il Vangelo.
E nessuno corre se non ha timore di perdersi qualcosa di importante, di unico, di decisivo.
E poi quel gettarsi ai suoi piedi, quasi adorandolo, riconoscendo nell’uomo di Nazareth una persona speciale, diversa da tutte le altre, semplicemente Divina.
I presupposti c’erano tutti perché sia noi che leggiamo, sia coloro che assistettero alla scena, potessero vedere una scelta autenticamente cristiana.
E invece no.
Ad un certo punto le cose presero un’altra piega. E il finale si rivelò opposto alle premesse.
Nessuna vocazione, nessuna sequela, nessun desiderio profondo che si realizza ma un deprimente alone di tristezza.
Un uomo incontra Gesù e se ne va triste; incontra la luce e ne esce oscurato in volto.
Ma come è possibile?
Cos’è in grado di provocare tutto ciò?

Cosa spegne anche in noi le nostre aspirazioni più belle, i nostri desideri più grandi?
Nel caso di quell’uomo che corre da Gesù il motivo erano le sue ricchezze.
Più in profondità le sue paure.
Perché tutto ciò che temiamo di perdere alla lunga diventa il nostro tiranno.
Finiamo col vivere con un’illusione, ma meglio sarebbe chiamarla inganno.
Quello di credere che tutto ciò che ci rende ricchi, sotto ogni punto di vista, possa darci la felicità che tanto cerchiamo.
Eppure sappiamo che le cose non stanno proprio così; sappiamo che se quel tale se ne andò triste nonostante avesse conservato tutte le ricchezze, tutto il suo status sociale, tutta la sua perfetta immagine, significa che la felicità sta altrove.
Lo sappiamo. Lo sa anche il nostro cuore. Lo sa anche Gesù che quel giorno invitò il suo interlocutore a non rivolgersi ad un “maestro buono” ma a Dio stesso, cioè alla propria anima.
Lì sta la risposta alla nostra domanda di felicità. È lì che ha dimora quell’essenziale che supera tutti i particolari di cui è ingolfata la nostra vita.
Questa vita che amiamo è un capitale che ci è stato messo tra le mani.
Non la possiamo trattenere. Occorre donarla. Se non la offriamo a Dio la offriremo comunque a qualcos’ altro.
Ma niente è così fecondo come donarla all’Unico che ce la restituirà in pienezza.
Don Umberto e Don Stefano