Ospitare i forestieri

“LO ACCOLSE NELLA SUA CASA”  (Lc 10, 2)

L’ospite è come un fratello per l’uomo che abbia anche solo un poco di senno
Oggi, praticare l’ospitalità nei modi in uso presso le popolazioni seminomadi del Medioriente, di cui anche l’episodio di Abramo a Mamre è testimonianza, appare sempre più difficile: un’antica consuetudine, presente in tutte le culture come dovere sacro, si sta smarrendo soprattutto in quella che chiamiamo la civiltà «occidentale». Le cause di tale fenomeno sono certamente molteplici. In primo luogo, il declino della prassi dell’ospitalità è provocato dal carattere consumistico di questa società. Il mercato oggi si è impadronito anche dell’ospitalità strappandola alla gratuità e facendone un affare commerciale, un business.
Bisogna inoltre mettere in conto la mutata tipologia della presenza degli stranieri nelle nostre società.
Molti degli «autoctoni» si sentono minacciati nella loro identità culturale e religiosa, oltre che in termini di occupazione e di sicurezza, così che gli stranieri finiscono per incutere paura. La paura di chi è diverso e il ripudio di forme culturali, morali, religiose e sociali lontane da noi finiscono per spingerci sempre più velocemente verso la sfera del «privato», l’isolamento, la chiusura all’altro, magari mascherati da custodia della propria identità.
Va anche riconosciuto che, poco per volta, questo atteggiamento di diffidenza e di difesa tende a inquinare tutti i nostri rapporti, al punto che finiamo per non praticare più l’ospitalità neppure nei confronti di chi possiamo definire, letteralmente, il «prossimo», cioè chi è «più vicino», chi vive accanto a noi condividendo la stessa lingua e la stessa cultura. Così le nostre case assomigliano sempre più a fortezze protette da serrature, porte, cancelli, sistemi di allarme, telecamere, recinti e muri: siamo diventati progressivamente succubi di una mentalità che si restringe e si chiude a ciò che appare come «altro», sconosciuto, nuovo, diverso.
L’altro, il vero altro, infatti, non è colui che scegliamo di invitare in casa nostra – forse anche con il retropensiero di essere poi a nostra volta invitati (cfr. Lc 14,12-14) – bensì colui che emerge, non scelto, davanti a noi: è colui che giunge a noi portato semplicemente dall’accadere degli eventi e dalla trama intessuta dal nostro vivere, perché «l’ospitalità è crocevia di cammini». L’altro è colui che sta davanti a noi come una presenza che chiede di essere accolta nella sua irriducibile diversità; poco importa se appartiene a un’altra etnia, a un’altra fede, a un’altra cultura: è un essere umano, e questo deve bastare affinché noi lo accogliamo. In altre parole, perché dare ospitalità? Perché si è uomini, per divenire uomini, per umanizzare la propria umanità.

 

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