La Via

La Via 16 novembre

UNA PARABOLA MORTIFICATA     (Mt 25, 14-30)download50

Diciamo “talenti” e subito pensiamo alle nostre capacità.
Leggiamo “parabola dei talenti” e istintivamente voliamo alla morale del racconto: bisogna mettere a frutto le nostre potenzialità, pena il fatto che Dio si arrabbi con noi.
Sarà per abitudine, o sarà conseguenza della formazione ricevuta, non lo so. Ogni tanto però è necessario uscire da certi “clichés”.
Il rischio infatti è quello di mortificare la parabola, di indebolirne la portata e l’effetto sorpresa, direi la provocazione, che Gesù intendeva arrecare.
Pensiamo anzitutto alla quantità dei beni lasciati dal padrone: cinque talenti erano equivalenti a circa 170 chili d’oro!
Ma chi mai farebbe una cosa del genere?
E per tanto tempo poi, perché quel padrone tornò “molto tempo dopo”.
Ma anche l’atteggiamento dei primi due servi: chi ha chiesto loro di far fruttare i talenti? Non certo il padrone. E se le loro spericolate operazioni non fossero andate a buon fine?
Così pure il comportamento del terzo servo: era una legge biblica a prescrivere di sotterrare un pegno ricevuto. Nell’intento di custodirlo e preservarlo. Cosa ha fatto quest’uomo di male? Non ha rubato ne’ smarrito niente.
Perché trattarlo così, come un delinquente?
E poi questo padrone, ma vogliamo dirne qualcosa?
Lo associamo sempre, e con disinvolta abitudine, a Dio stesso. Ma uno che punisce in quel modo, che “miete dove non ha seminato”, cosa c’entra con il Padre Misericordioso predicato da Gesù?
Perché questa prevaricazione?
Si capisce quindi che la parabola non vuole solo offrire una morale, ma essa vive delle continue reazioni di chi la ascolta.
La parabola scombina i pensieri, rimette in gioco le consuetudini e ti lascia con domande irrisolte.
Chiaro che per noi che predichiamo è molto più semplice dire “Ecco, quali talenti ti ha dato il Signore? Mettili a frutto!”. Però è anche noioso. Almeno, io mi annoio.
Più stimolante (e più giusto) dire che i talenti sono l’annuncio del Regno fatto da Gesù, i suoi miracoli, le sue azioni, le sue parole, il suo modo di rivelare il Padre.
A tutti è consegnato questo volto di Dio paterno e compassionevole.
Così grande e libero che se ne va lontano, cioè non ti sta col fiato sul collo, non ti assilla di continuo come il padrone di una azienda che decide di ogni minima quisquiglia.
Se questo volto lo accogli, se entri nel Regno e te ne senti parte allora porterai frutto.
Se te ne approfitti, se nascondi sotto terra questo Volto che ti provoca di continuo e resti ancorato al volto del Dio giudice e legislatore (molto più comodo) allora Dio ti tratta alla pari: con la stessa misura con cui tu l’hai misurato nella vita anch’egli ti misurerà.
Se la religione del sospetto e della paura genera la scelta dell’egoismo e dell’inerzia, meglio abbandonarla in fretta.
Don Umberto e Don Stefano