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Qohelet

download50pdf50QOHELET E LE RADICI DELL’INGIUSTIZIA
Chi è Qoelet? cosa rappresenta? Rappresenta evidentemente, almeno per noi, il tipo di quella saggezza disincarnata, non direi proprio scettica, ma tendente allo scetticismo elegante, che è capace di sorvolare sopra le vicende umane con un certo sorriso, sapendo che non c’è molto di buono da sperare. Per citare un esempio, prendo così a caso qualche brano tipico: “Ciò che è storto non si può raddrizzare, su quel che manca non si può contare” (Qo 1,15). E certo che con queste sentenze non si va molto avanti; d’altra parte è anche vero che se una certa cosa non c’è, è inutile fare progetti; se qualcosa è storto, come si fa a raddrizzarlo?
Un’altra sentenza mi viene a tiro riflettendo su due colpi di Stato, recentemente avvenuti in un paese dell’Africa, uno dopo l’altro; l’ultimo, quello di un sottufficiale, che era stato messo in prigione e uscito di prigione ne ha fatto un secondo e ha preso in mano tutto. E allora apro Qoelet e trovo: “Meglio un ragazzo povero, ma accorto, che un re vecchio e stolto che non sa ascoltare i consigli. Il ragazzo infatti può uscir di prigione ed esser proclamato re, anche se mentre quegli regnava, è nato povero” (Qo 4,13s). Poi descrive la situazione: “Ho visto tutti i viventi che si muovono sotto il sole stare con quel ragazzo, il secondo, cioè l’usurpatore. Era una folla immensa quella di cui egli era alla testa. Ma — continua il nostro Qoelet — coloro che verranno dopo non avranno da rallegrarsi di lui” (vv. 15-16). Ecco un modo di giudicare le cose umane; sembra che sia avvenuto chissà che cosa, ma sappiamo come si andrà a finire.
(Qoh, 4, 1-5.6)
Nel frammento (cf. 4,13-16), Qohelet ci propone un pensiero riguardante le anomalie della vita sociale. Qui non è in questione soltanto la collaborazione fra due o fra tre; qui la collaborazione viene intesa nel suo senso più ampio e più complesso. Qui è coinvolta tutta una società:
Meglio un giovane povero ma accorto,
che un re vecchio e stolto,
che non sa più accettare consigli (4,13).
Succede che l’assetto politico di quella certa società sia determinato dalla presenza di «un re vecchio e stolto», che non sa ascoltare i consigli; «meglio un giovane povero ma accorto» di quel re. Fatto sta, comunque, che l’equilibrio nella gestione politica di quella certa società è determinato dalla presenza di quel re vecchio e stolto. Anche questa è una forma di violenza, che investe senz’altro quel particolare tipo di lavoro da cui dipende l’organizzazione della società. Ma la riflessione di Qohelet non si limita a questa denuncia. Per altro, noi ci siamo già resi conto che non possiamo mai accontentarci di soluzioni facili, ossia di soluzioni di pronto impiego per un immediato consumo. Dunque, si farà in modo che quel re sia sostituito da quell’altro. E Qohelet adesso dice:
Il giovane infatti [quell’altro] può uscire di prigione ed essere fatto re, …
-è un caso di rivoluzione –
… anche se, mentre quello regnava, era nato povero (4,14).
Succede anche questo: quanti ribaltamenti, quante evoluzioni grandiose, quante di queste rivoluzioni si son presentate nel corso della storia umana! Quante società umane sono state sconvolte e quanti equilibri politici sono stati sovvertiti! Tante volte è successo. Il re è stato deposto. Allora
ho visto tutti i viventi che si muovono sotto il sole stare con quel giovane, che era subentrato al re. Era una folla immensa quella che gli stava davanti. …
Anche Qohelet ha partecipato a questo movimento di popolo, che ha provocato l’abbattimento del re e l’intronizzazione di quest’altro personaggio che, benché molto giovane, è stato già segnato da un’amara sofferenza, che lo ha educato e lo ha reso «accorto»; anche lui, dunque, ha partecipato, ma … coloro che verranno dopo non si rallegreranno neppure di lui. …
Abbiamo abbattuto il re vecchio e stolto; adesso regna al suo posto quel ragazzo coraggioso e promettente. Quelli che verranno dopo «non avranno da rallegrarsi neppure di lui».
… Anche questo è vanità, e un correre dietro al vento (4,15-16).
Anche quel giovane, che aveva suscitato tante speranze, darà poi cattiva prova di sé. Naturalmente Qohelet non dice che così deve essere per forza, che così deve essere sempre e dappertutto, che così deve essere sempre allo stesso modo, ma qualcosa del genere già lui stesso ha sperimentato. Tanto entusiasmo di popolo per ottenere quella certa evoluzione, quel certo passaggio di potere, quella rivoluzione che è stata sostenuta con tanto fervore, fino a constatare che colui che ha sostituito il vecchio re, non è poi tanto meglio di lui. Qohelet se ne è già reso conto, lui: se ne renderanno conto ancora meglio «quelli che verranno».
Il frammento successivo (cf. 4,17-5,2) contiene una riflessione sulla vita devozionale. Abbiamo l’impressione, lì per lì, che questo pensiero non abbia nulla a che fare con la serie di riflessioni che stiamo ricostruendo, e che sono tutte relative al grande tema dell’ingiustizia che opprime il mondo, facendo uso di una forza che provoca il versamento di un mare di lacrime. Cosa ci sta a fare questo pensiero qui, nel contesto all’interno del quale ci stiamo muovendo? Già possiamo prevedere che evidentemente per Qohelet
– e per colui che ha redatto questo testo, ossia il discepolo – quanto il maestro dice qui a riguardo di una certa religiosità devozionale, ha a che fare con l’esercizio della violenza. Quanto meno dobbiamo sospettare questo. C’è una falsa religiosità, o anche una devozione abusiva, che collabora in modo molto efficace con l’esasperazione della violenza in questo mondo. Interessante! Leggiamo:
Bada ai tuoi passi, quando ti rechi alla casa di Dio. …
– la «casa di Dio» è il tempio; «badare ai propri passi» significa «non ingannare» –
… Avvicinati per ascoltare piuttosto che offrire sacrifici, come fanno gli stolti, i quali non sanno di fare del male (4,17).
È abusiva la devozione che si esprime con la ritualità dei sacrifìci, senza l’ascolto della parola. La pretesa di dominare il rapporto con Dio, ricorrendo al meccanismo delle opere – qui si tratta di offrire i sacrifìci secondo le regole previste nel tempio di Gerusalemme -, porta in sé il seme di ogni violenza. E la pretesa addirittura di tener sotto controllo Dio, di dominarlo, di imporgli il proprio potere. È davvero il seme di ogni violenza! Perciò «avvicinati per ascoltare…»; c’è di mezzo la parola di chi ti chiama; si tratta di ascoltare chi ha qualcosa da dire a te, perché si prende cura di te e sa come intervenire per quel che ti riguarda. Ebbene, «ascoltare» vale più del «sacrificio offerto»: sono gli stolti che lo offrono, senza neppure «comprendere di far del male», perché offrendo quel sacrificio pretendono di avere catturato il compiacimento di Dio e di essersi conquistati i suoi favori. E prosegue:
Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferire parole davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra; perciò siano poche le tue parole. Infatti, dalle molte preoccupazioni vengono i sogni, e dalle molte chiacchiere il discorso dello stolto (5,1-2).
Quante illusioni nei devoti! Sono «sogni» e «chiacchiere». È ben altro il rapporto con Dio; è ben altro il cammino della nostra conversione in ascolto della sua parola, per aderire a quanto egli ha voluto comunicarci di suo, e vuole realizzare in forza della sua iniziativa. Altro che guadagnarsi la complicità di Dio. Altro che! Questo è un sogno devozionale, illusorio e pericoloso. È il seme della violenza!
(Pino Stancari, Nella crisi della sapienza)