La Via

La Via 21 ottobre

 FIGLI di ZEBEDEO                            (Mc 10,35-45).

 

A dirlo così suona quasi come un insulto.

Una specie di appellativo negativo.

Effettivamente, prima di diventare santi, i figli di Zebedeo nel Vangelo non è che abbiano fatto una gran bella figura.

I figli di Zebedeo erano gli apostoli Giacomo e Giovanni.

“Figli del tuono” era il loro soprannome.

Irascibili e irruenti, impetuosi e forti.

Ma anche un po’ ambiziosi. Troppo ambiziosi.

Di quella ambizione che ti fa perdere di vista il vero senso delle cose e ti fa dimenticare la logica di Dio.

Essi chiedono a Gesù “vogliamo sedere alla tua destra e alla tua sinistra”.

Vogliamo cioè essere i primi.

Forse siamo un po’ tutti figli di Zebedeo; tutti vogliamo emergere dal grigiore dell’anonimato e sentiamo il bisogno di essere qualcuno.

C’è qualcosa di legittimo in queste esigenze: c’è il bisogno di stima e di apprezzamento per dare il meglio di noi stessi. Gli elogi ci stimolano ad essere migliori.

Le gratificazioni ci fanno rendere di più.

Lo sapeva bene anche Gesù, che spesso loda le persone: elogia le donne, i samaritani, il centurione, i discepoli.

Ma c’è un punto in cui questo bisogno di primeggiare diviene tossico, perché travalica in bisogno di potere.

E non c’è bisogno di pensare solo ai potenti della terra.

Ognuno vuole sentirsi un leone nel suo tinello, nel suo piccolo spazio vitale.

Le nostre palestre di potere sono: il luogo di lavoro, il gruppo, la parrocchia, la squadra, persino la coppia o la famiglia.

Obiettivamente non c’è nulla di nuovo sotto il sole; tutto è già scritto nel Vangelo.

Di nuovo c’è il modo di rispondere di Gesù e la strada che Lui indica per primeggiare.

Egli infatti non condanna il desiderio di essere il primo, non censura questa sorta di competizione.

Ma in cosa bisogna esserlo?

E qui la strada si capovolge: il potere viene dal servizio.

La supremazia scaturisce dal dono si sé.

La passione di grandezza ci abita tutti.

Ma spesso la giochiamo al tavolo sbagliato, quello di questa storia dove i grandi sono quelli che hanno ricchezza, successo, onori.

C’è un altro tavolo dove giocare questa partita; quello di un mondo diverso dove si punta sulla forza dell’amore anziché sull’amore per la forza.

E’ il tavolo di Dio.

 

Don Umberto