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Omelia 17 gennaio 2016

Viene il momento in cui si avverte come un esaurirsi della fonte della gioia. La compagnia di prima non soddisfa più, le parole di prima vengono a noia, l’allegria di prima prende una piega sgradevole.
Se si tiene conto di questa legge (è come una legge di natura che pesa sulle nostre feste), si comprende meglio la presenza di Gesù a Cana. Gesù è presente non solo per condividere la gioia di tutti, ma anche per cogliere il venir meno della nostra gioia e convertire il vuoto in pienezza. Ecco la pienezza: il vino del miracolo è sovrabbondante e più buono di quello di prima. La gioia inaugurata da Gesù non è in contrapposizione alle altre, ma le completa e le supera.
C’è un’altra osservazione da fare: il vino della gioia è frutto di collaborazione. La madre di Gesù, i servi, il maestro del banchetto a modo suo: ciascuno deve collaborare. Guai a rimanere in disparte e a non armonizzare il proprio lavoro con quello degli altri (è il discorso fatto anche da Paolo nella seconda lettura). Rimane comunque sempre da ricordare che il ruolo principale e insostituibile è quello di Gesù.
Se non c’è Lui, si lavora inutilmente.
È soltanto Lui che, nei momenti di tristezza, può dirci (tento una breve parafrasi del testo di Isaia):
« Tu non sei più nell’ abbandono e nella desolazione.
lo ti chiamo “mio compiacimento”.
E per questa tua festa voglio che non manchi mai sulla tua tavola il vino della gioia».