La Via

La Via 17 gennaio

CAPACI DI GIOIA  (Gv 2, 1-11)

Oggi assistiamo alla terza epifania di Gesù.
Quale altro lineamento del volto di Dio ha rivelato il miracolo di Cana?
Oggi, dopo la lettura di questa pagina di Giovanni, noi possiamo rispondere:
«Dio si fa trovare a tavola, in mezzo a una festa di matrimonio». Cana ha dunque questo significato: Dio è in mezzo a gente che gode, ride, scherza, balla.
Pensare che il cristianesimo mortifichi la gioia di vivere vuol dire che non si è meditato a sufficienza sulla terza epifania, quella di Cana.
Dobbiamo immaginare che Gesù sia andato a Cana per appartarsi in un angolo, solo e serio, a recitare preghiere mentre gli altri si divertivano? Il Vangelo non lo dice, ma è possibile che Gesù abbia anche ballato.
La terza epifania è questa: Dio gode della gioia degli uomini, approva, apprezza. Si dirà: è solo questo il senso di Cana?
Il racconto, in verità, suggerisce altre riflessioni. A un certo punto viene a mancare il vino. E poiché il vino è riconosciuto come simbolo della gioia, vuol dire che quella festa rischiava di non essere più una festa. È il rischio che incombe sempre sulle nostre feste. Si può essere accorti e previdenti finché si vuole, ma è un fatto che la misura della gioia è sempre limitata. Viene il momento in cui si avverte come un esaurirsi della fonte della gioia. La compagnia di prima non soddisfa più, le parole di prima vengono a noia, l’allegria di prima prende una piega sgradevole.
Se si tiene conto di questa legge (è come una legge di natura che pesa sulle nostre feste), si comprende meglio la presenza di Gesù a Cana. Gesù è presente non solo per condividere la gioia di tutti, ma anche per cogliere il venir meno della nostra gioia e convertire il vuoto in pienezza. Ecco la pienezza: il vino del miracolo è sovrabbondante e più buono di quello di prima. La gioia inaugurata da Gesù non è in contrapposizione alle altre, ma le completa e le supera.
C’è un’altra osservazione da fare: il vino della gioia è frutto di collaborazione. La madre di Gesù, i servi, il maestro del banchetto a modo suo: ciascuno deve collaborare. Guai a rimanere in disparte e a non armonizzare il proprio lavoro con quello degli altri (è il discorso fatto anche da Paolo nella seconda lettura). Rimane comunque sempre da ricordare che il ruolo principale e insostituibile è quello di Gesù.
Se non c’è Lui, si lavora inutilmente.
È soltanto Lui che, nei momenti di tristezza, può dirci (tento una breve parafrasi del testo di Isaia):
« Tu non sei più nell’ abbandono e nella desolazione.
lo ti chiamo “mio compiacimento”.
E per questa tua festa voglio che non manchi mai sulla tua tavola il vino della gioia».

(Don Luigi Pozzoli)