La Via

La Via 7 aprile

IL PATRONO DEGLI SCETTICI      (Gv 20,19-31)

San Gregorio Magno, che fu un grande Papa del VI° secolo, disse che l’incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto più che la fede di tutti gli altri discepoli.

Perché?

Il nostro modo consueto di leggere questo famoso brano di Vangelo è quello che interpreta l’apparizione di Gesù come un suo modo di dimostrare a Tommaso la concretezza del suo corpo affinché egli passasse dalla incredulità alla fede.

Indubbiamente questo è il significato più evidente.

Ma credo che sia necessario anche andare più in profondità, perché questo racconto ci parla in modo nuovo e sorprendente.

L’apostolo Tommaso, vedendo il Risorto, è stato veramente liberato, una volta per sempre, da tutti i suoi dubbi oppure Gesù gli ha mostrato quel luogo (e quell’esperienza) nel quale chi dubita può trovare Dio?

Se la risposta a questa domanda è affermativa (e io credo che  lo sia) allora le ferite del costato di Cristo sono quel luogo.

Detto così sembra un discorso un po’ astratto, ma in realtà la sua concretezza è evidente.

Quando, alla sera della Via Crucis del Venerdì Santo, abbiamo unto il corpo di Cristo morto ci siamo detti che stavamo curando e alleviando la ferita della comunità perché essa è il vero corpo di Cristo.

Ma in fondo tutte le ferite del mondo e dell’umanità sono ferite di Cristo: ferite fisiche, morali, psichiche ed affettive.

Gesù si è identificato con i sofferenti e nell’invito a mettere la mano nel costato fatto a Tommaso c’è l’indicazione chiara per ogni credente.

Invocare Gesù come “mio Signore e mio Dio” sarà possibile solo nel momento in cui toccheremo quelle sue ferite di cui anche oggi il mondo è pieno.

Se non lo faremo le nostre devozioni saranno vane ed inefficaci.

Di fronte alle ferite del mondo non possiamo volgere le spalle; dobbiamo almeno vederle, toccarle e lasciarcene colpire.

Forse è proprio questo il giovamento comune dell’incredulità di Tommaso di cui parlava San Gregorio.

Don Umberto