La Via

La Via 1 ottobre

RICCHEZZA E POVERTA’ DELLE PAROLE   (Mt 21,28-32). 

Il primo e oggettivo significato di questa parabola dei due figli mandati a lavorare nella vigna lo si coglie a partire dai destinatari.

Gesù la disse per gli scrivi e gli anziani del popolo.

Sono essi infatti, nella loro ipocrisia, ad essere rappresentati da quel figlio che dice “si” al padre ma poi non fa la sua volontà.

L’altro figlio invece è il simbolo di prostitute e pubblicani che, nella loro conversione, fanno la volontà del Padre.

Colto questo suo fondamentale significato, la parabola si presta però a tante altre non secondarie interpretazioni.

Scelgo di sviluppare la riflessione allora al significato e alla forza delle parole.

Per entrambi i figli c’è una distanza netta tra le parole e i fatti.

Anzi, i fatti esprimono l’esile contenuto delle parole.

Ma può mai una nostra parola essere davvero aderente alla realtà?

Possiamo con il nostro parlare esprimere un fatto o un pensiero nella sua più piena oggettività?

Sempre le nostre parole avranno una certa distanza dai fatti: quando raccontiamo un episodio o quando esprimiamo un pensiero, la parola non aderisce mai appieno alla realtà.

Gesù stesso dubitava della eccessiva parola e ci invitò ad essere parsimoniosi nell’usarla.

Egli spesso comunicava in parabole, cioè utilizzando parole allusive e non dirette.

C’è una certa debolezza e fragilità delle parole che ci deve istruire sul loro carattere non assoluto.

Questa stessa povertà è però anche la loro ricchezza.

Le parole rimandano sempre ad un “oltre”, a qualcosa d’altro di più vero e più reale.

Capire cosa c’è dietro alle parole (quelle dette e quelle non dette) è il percorso umano di crescita e di sapienza.

Così è per la fede e per quelle parole che sono contenute nelle Sacre Scritture.

Non bastano certo ad esprimere la realtà di Dio, ma nella loro insufficienza ci spingono a ricercarlo.

Il Signore ci conceda la grazia, la forza ed il tempo per aprire la porta che c’è in ogni sua Parola.

Don Umberto