La Via

La Via 23 ottobre

 

IMPARARE DAL PUBBLICANO. (Lc 18,9-14).

 

Mi metto nei panni di quel pubblicano di cui parla la parabola di oggi. Era salito al tempio per consacrare una sua personale di situazione di resa.

Forse anche lui era in quello stato di rassegnazione su se stessi che prima o poi proviamo tutti.

Non aveva neppure la forza di assumere un impegno di conversione.

Non era più  in grado di dire a Dio: “cambierò vita, diventerò migliore, correggerò quel mio vizio”.

Niente di tutto questo.

Aveva davanti a sé solo il suo peccato e la necessità di essere perdonato.

Probabilmente avrà anche sentito dentro di sé quella lacerazione di chi riconosce il bene e lo apprezza, salvo poi perpetrare nella sua vita un male che non avrebbe voluto (anche S. Paolo nelle sue lettere aveva già descritto questo penosa e sofferta situazione del cuore umano).

Mi immagino allora quel pubblicano riuscire a malapena a superare la soglia del tempio e a biascicare la sua incapacità ad essere diverso.

Lo vedo occupare l’ultimo posto e magari arrivare in ritardo ad una funzione sinagogale proprio perché si sentiva indegno.

Ma anche per non essere visto dagli altri.

Come se lo sguardo altrui potesse penetrare la sua anima e vedere tutte le ombre e le oscurità.

Esistono, infatti, in ogni luogo sacro, sguardi indagatori, troppo indagatori, che farebbero bene a farsi i fatti propri.

Esiste però, occorre dirlo, anche una propensione umana a pensare che gli altri pensino sempre a noi o ci guardino un modo malevolo, anche quando tutto questo non avviene affatto .

Spesso la gente ne ha già troppi di problemi nella propria vita per mettersi a pensare anche a quelli degli altri.

In questo suo atteggiamento però il pubblicano troverà la via della salvezza; sarà questa sua inadeguatezza a non farlo scivolare nell’arroganza o nella superficialità.

È questa sua insopportabilità dello sguardo altrui (e di se stesso) a condurlo davanti all’unico sguardo che salva: quello di Dio.

Dovremmo imparare anche noi.

E deciderci sotto quale sguardo voler sostare.

Don Umberto