La Via

La Via 7 febbraio

UN INCONTRO TRA DUE MANI

(Mc 1,29-39)

Seguendo il racconto di Marco oggi troviamo Gesù che passa dalla sinagoga alla casa.

Non è uno spostamento puramente fisico.

È un simbolo di ciò che il cristianesimo ai suoi esordi ha compiuto: una apertura dello spazio del sacro affinché l’esperienza di Dio fosse fatta nella vita ordinaria e quotidiana.

La sinagoga (o la Chiesa) sono certamente necessarie a custodire quel senso di trascendenza e di sacralità che nutrono la fede; ma questa stessa fede richiede spazi e ambiti quotidiani in cui manifestarsi.

Gesù quindi si immerge nella vita di tutti i giorni.

E cosa trova?

La notte del dolore.

Nella casa in cui entra, infatti, c’è una persona malata.

Esiste una risposta a questa notte del dolore?

Nella prima lettura Giobbe è tormentato da queste domande.

La sua vita sembra non avere più senso proprio perché tanta è la sofferenza che, come tenebra, toglie la luce della speranza.

È solo nel dialogo con Dio che per Giobbe queste tenebre si diradano e poco alla volta sembra intravedersi un senso.

È il tocco di Dio a dare luce.

Lo stesso tocco compiuto da Gesù nei confronti della suocera di Pietro malata di febbre.

C’è infatti un incrocio tra due mani che fa venire in mente la creazione di Adamo dipinta da Michelangelo.

In quel contatto si compie la guarigione.

E dalla guarigione sgorga il servizio.

Quel che Gesù dona alla donna non è solo l’integrità fisica, la nuda vita, ma anche il senso di quella vita che le viene restituita.

La pura esistenza biologica infatti a nulla serve.

Noi non siamo chiamati a sopravvivere, ma a vivere.

E vivere significa poter compiere quei gesti di sapore spirituale o culturale ed etico che riempiono l’esistenza.

In questo caso, per quella donna, il senso della vita consisterà nel fare di essa un dono.

Ma è solo per quella donna o per ogni cristiano?

Don Umberto