La Via

La Via 2 febbraio

DOLCE LUCE
(Lc 2,22-40)

Al centro del tempio di Gerusalemme c’era uno spazio vuoto.
Nel Santo dei Santi, cuore di quel sacro luogo, sotto l’ara dell’alleanza sorretta da due statue di angeli, uno spazio vuoto esprimeva la presenza di Dio.
Niente statue, niente dipinti, niente simboli.
Quel vuoto stava lì ad esprimere il mistero e la inavvicinabilità di Dio.
Dio non lo vedi, non lo tocchi, non puoi prenderlo in mano.
Gesù, piccolissimo, ad appena quaranta giorni, viene presentato in questo stesso tempio.
È come se quel vuoto venisse riempito e Dio fosse finalmente visibile e raggiungibile.
Lo avevano capito i due anziani Simeone e Anna; per questo esultarono in quel giorno.
Grande era stata la loro attesa, ma ora si era finalmente compiuta.
Questa immagine del vuoto fa pensare.
Oggi si ha terrore del vuoto.
Piuttosto che sperimentarlo ci si riempie di ogni diversivo: necessaria ci sembra, ad ogni costo, una presenza.
Che si tratti di persone, di impegni, di oggetti o di rumori, poco importa.
Tutto ma non il vuoto.
Imparare a restare con il proprio vuoto è un passo importante nella vita di fede.
Vuoto è la solitudine; vuoto è la mancanza di creatività; vuoto è anche la verginità.
Sono i luoghi in cui Dio può prendere dimora.
Dio viene laddove c’è uno spazio in cui possa stabilirsi, perché non ama fare a gomitate con altro per occupare luoghi già intasati.
Una volta che ha preso dimora, diffonde la sua presenza dappertutto.
E le persone, gli impegni, i pensieri, le cose che ingolfano la nostra vita si riempiono di Lui.
Come una luce soffusa che rischiara permettendo di vedere la realtà.
Per questo la festa di oggi è chiamata “candelora”.
Le candele che avremo in mano sono simbolo di questa luce che è Cristo Gesù.
Perché essa non resti solo un simbolo occorre però dare spazio a Dio.
Direi occorre dargli il primato.
Presentare i primogeniti al tempio e consacrarli a lui era il modo di esprimere questa signoria di Dio.
A Lui consegniamo i nostri vuoti, certi che saprà riempirli.

Don Umberto