La Via

La Via 8 ottobre

NOVE a UNO (Lc 17,11-19).

Più di altre volte mi piace oggi il rincorrersi tematico tra la prima lettura e il Vangelo.
Forse perché la prima lettura è la conclusione di un episodio tra i più memorabili dell’Antico Testamento: la guarigione dello spietato generale siriano Naaman.
O forse perché il tema trattato è quello della gratitudine che ritengo essere uno degli ingredienti necessari per avere una vita piena, una vita felice fin dove è possibile.
Lo scambio di battute della prima lettura tra il lebbroso guarito e il profeta Eliseo che ha compiuto la guarigione è carico di significato.
Il profeta non accetta i doni del generale perché non vuole qualcosa che gli ricordi il bene compiuto: chi fa il bene lo dimentica per non vantarsene e per non correre il rischio di rivendicazioni. Chi è stato guarito invece porta con sé un po’ di terra di Israele perché lui sì che deve ricordare.
Ricordare e ringraziare Dio. Ogni giorno.
È la stessa gratitudine di un altro lebbroso, quello del Vangelo, che torna indietro a dire grazie a colui che lo ha salvato.
Peccato che insieme a lui ce n’erano altri nove i quali non tornano indietro e se ne vanno ciascuno per la sua strada.
“E gli altri nove dove sono?” chiede Gesù, e queste sue parole hanno il sapore della delusione, quasi dell’amarezza.
Ma non si tratta del risentimento personale di chi si sente offeso per non essere stato ringraziato di un favore.
Credo proprio che il Signore fosse assolutamente libero da certe povertà psichiche da cui, invece, noi siamo fortemente intaccati.
Gesù resta deluso per il bene che voleva a quei lebbrosi guariti; ci rimase male per loro e non per lui.
Perché chi impara a ringraziare impara a vivere.
Ma perché non lo fecero? Possiamo solo immaginarlo e confrontare con loro la nostra vita. A volte non si ringrazia perché si da per scontato che le cose ci siano; altre volte perché si è troppo presi dai propri pensieri; altre ancora perché per ringraziare ci vuole umiltà e non solo buona educazione.
Ma proprio qui sta la virtù e il segreto della gratitudine.
Essa non è pura cortesia, è un modo di pensare se stessi e di pensare la vita.
Noi non ci siamo fatti da soli; senza il dono di Colui che tutto ha creato noi non saremmo niente. E niente saremmo anche senza il dono degli altri.
Per questo occorre praticare la gratitudine come stile: per scongiurare che i benefici di Dio avviliscano in fretta.
Perché solo a queste condizioni, il rendimento di grazie, il miracolo della vita evita di invecchiare e di appassire rapidamente.

Don Umberto