Ricordi,  Riflessioni

2° anniversario morte di C.M. Martini

Padre David M. Neuhaus, vicario del Patriarcato Latino di Gerusalemme per i cristiani didownload50 espressione ebraica, ebbe l’occasione, in quanto gesuita, di vivere a stretto contatto con Martini durante la sua permanenza nella Città Santa. Dalle sue parole emerge un ritratto del cardinale frutto di una quotidianità silenziosa e discreta, contraddistinta da rapporti semplici e da una presenza umile eppure importante.

Non avevo mai incontrato il cardinale Carlo Maria Martini prima del giorno in cui venne a vivere con noi nella comunità dei gesuiti di Gerusalemme. Naturalmente avevo sentito molto parlare di lui. Era un mito per tutti i gesuiti della mia generazione: principe della Chiesa, arcivescovo della diocesi più popolosa del mondo, brillante intellettuale, autore prolifico e autentico gigante dal punto di vista spirituale.
L’uomo in carne e ossa che ci si presentò a Gerusalemme era semplice, umile e schivo. A tradire in qualche modo la sua grandezza era lo sguardo penetrante. I suoi occhi sembravano cogliere ciò che è nascosto e percepire la realtà profonda oltre le apparenze superficiali. Gli chiesi: «Eminenza, come dobbiamo rivolgerci a lei?». Sorrise e rispose dolcemente: «Padre Carlo».
Martini venne tra noi, gesuiti di Gerusalemme, essenzialmente come un confratello. Nelle conversazioni tra di noi, ascoltava sempre con attenzione prima di prendere la parola e quando parlava era per proporre, piuttosto che per imporre. Ben presto scoprimmo che la sua presenza, anziché incombere sulla nostra libertà con la sua grandezza e statura, facilitava la comunicazione. Era capace di avvicinarci gli uni agli altri, con una paternità spirituale che silenziosamente divenne evidente. Il suo sguardo affascinante e penetrante ci provocava a ripensare, riformulare e rinnovare costantemente il nostro impegno.
Scoprire la routine quotidiana a Gerusalemme lo riempiva di gioia. Entusiasticamente intraprese di nuovo i suoi studi di ebraico, in qualche occasione celebrando anche la Messa in quella lingua. Cercava di entrare in comunicazione con il mondo circostante, a partire da quello ebraico, che lo aveva sempre affascinato. Non solo invitava una grande varietà di persone a fargli visita – accademici e studiosi, attivisti sociali e persone semplici -, ma lui stesso si recava a trovarli nelle loro case e nei loro ambienti.
Serbava il desiderio di imparare con la vitalità tipica di un giovane. Si aprì anche alla realtà palestinese e cercò di informarsi sulla situazione. Si impegnò con l’Università di Betlemme, dalla quale accettò di ricevere una laurea honoris causa. L’ateneo gli intitolò anche un centro per la formazione di nuovi leader.
Non accettava di starsene seduto come uno spettatore che legge la realtà con formule semplicistiche, per comodità o preconcetto. Martini si immergeva nel mondo, allargando continuamente i propri orizzonti. Il principio del magis – della maggior gloria di Dio (sempre più grande e superiore, mai sufficiente) – lo coinvolgeva totalmente. La sua era una curiosità che rivelava un amore profondo per l’umanità e un inesauribile desiderio di saperne di più su ognuno dei figli di Dio.
Gerusalemme era per lui la città della Parola, quella Parola che Dio ha pronunciato nella storia e che continua a rivolgere all’umanità creata a Sua immagine, ma distratta e confusa. Gerusalemme, città della Parola incarnata e rifiutata, crocifissa e risorta. Martini amava camminare per le sue strade e immergersi nella sua vita. Gerusalemme, diceva, è la casa di ogni cristiano e lui qui si sentiva a casa. Percorrere queste strade era come pregare, perché questa era per Martini la città della Parola per eccellenza, i suoi passi qui come quelli di colei che segue le orme dell’amato (per usare un’immagine dal Cantico dei Cantici) o di Maria Maddalena che va alla tomba a cercarlo.
Quando non incontrava le molte persone che venivano a fargli visita, non andava a trovare qualcuno dei suoi molti amici, o non calcava le vie della città amata, Martini era nella sua stanza a studiare la Parola. Dopo lunghi anni di servizio pastorale alla Chiesa, in questa sua ultima stagione poteva finalmente tornare a immergersi nel mondo della Bibbia, meditando sulla lettera della Sacra Scrittura. Da eminente studioso, era costantemente alla ricerca di nuovi livelli di comprensione, di nuove occasioni per incontrare il Verbo incarnato nelle parole del testo sacro. Studio, preghiera e ricerca spirituale diventavano un atto di comunione con il Signore, una ricerca di Lui, un incontro intimo, un cammino condiviso con Lui.
C’è un elemento che riassume tutte le attività che Martini ha intrapreso negli ultimi anni della sua vita: l’intercessione. Venne a Gerusalemme per dedicarsi alla preghiera, specialmente alla preghiera per la pace nel mondo, nella regione mediorientale e in Terra Santa. Una pace, questa, che dovrebbe cominciare a Gerusalemme e da lì diffondersi fino ai confini del mondo. L’intercessione costante fu al cuore dell’ultima stagione martiniana a Gerusalemme.
Nessuna riflessione su quegli anni a Gerusalemme sarebbe completa senza un riferimento alla malattia. Esplicitamente e coscientemente, Martini venne a Gerusalemme per prepararsi alla morte, al suo ritorno alla Gerusalemme celeste. L’infermità la sopportava non solo con pazienza e coraggio, ma anche con una sempre rinnovata spiritualità di preparazione all’incontro con il Signore. Con grande umiltà si abbandonò alla progressiva perdita di controllo sul proprio corpo, confidando nella misericordia di quel Dio al cui servizio ha posto tutta la sua vita.