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Qohelet

pdf50download50CHI E’ IL VERO SAGGIO?

In questo capitolo ci viene offerta una ulteriore riflessione sulla sapienza; una riflessione che ci sorprenderà, lasciandoci magari un po’ delusi.

Costituirà in verità una profonda “preparazione evangelica”.

Qohelet continua a interrogarsi nella prospettiva che già abbiamo messo a fuoco: chi sa dov’è la vera sapienza? Adesso, però, è in questione il vero saggio. Chi è mai il vero saggio? Qohelet guarda se stesso e guarda gli altri intorno a sé; guarda noi e guarda il mondo, senza sofisticazioni, senza fantasie, senza mascherature.

Ebbene, il saggio sarebbe l’uomo dal volto luminoso, che è poi anche l’uomo dal volto disteso e accogliente. Ma sapete chi è veramente il saggio?

Ecco:

“Osserva gli ordini del re, per il giuramento fatto a Dio. Non allontanarti in fretta da lui; non persistere in un cattivo progetto, ..”

Guardiamo le cose come sono. La realtà ci spiega che il saggio è un suddito del re: è un dipendente, ossia un tecnico che deve fare buona figura. È una visione piuttosto deprimente delle cose. D’altra parte, è pur vero che, secondo il magistero tradizionale, il sapiente è un uomo che sa stare al mondo e che sa dare dei buoni consigli a chi governa; insomma, è un uomo che sa frequentare la corte.

Ma per Qohelet questo è un gioco al compromesso. Si tenga presente che lui non sta accusando, o condannando; non è nel suo stile sentenziare. Lui dice: «Io mi sono reso conto che quella che noi chiamiamo sapienza, in realtà è un compromesso».

Si è reso conto che il personaggio comunemente considerato come il vero sapiente, è un tecnico che riesce con discreta abilità a mantenere la propria posizione nei confronti del «re»,

“… perche egli può fare ciò che vuole. Infatti, la parola del re è sovrana;

chi può dirgli: «Che cosa fai?». Chi osserva il comando non va incontro

ad alcun male (8,2-5a).”

Quindi il saggio obbedisce al re. Ma questo è anche un modo per obbedire a Dio? Sì e no.

Qohelet contesta e dice: «Io mi sono reso conto che, in realtà, questa obbedienza a Dio attraverso l’obbedienza al re è un trucco per garantirsi, comunque, quel discreto successo di cui un uomo può compiacersi e da cui trae le gratificazioni che gli consentono di tirare avanti sino alla fine».

Dovremmo provare a confrontare questa prospettiva di sapienza con la visione invece dal N. T.. Essa è innovativa, in qualche modo ribalta la prospettiva.

 

Potremmo leggere 1 COR 1, 17-31

“Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.

La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti:

Distruggerò la sapienza dei sapienti

 e annullerò l’intelligenza degli intelligenti.

Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione.Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono,perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore.”

 

O anche Lc 10, 21

“In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.”

 

Ne emerge una visione di sapienza alternativa, fondata sulla coscienza del proprio limite e sulla grandezza di Dio; una visione meno aristocratica ma più umile, più semplice e non legata a compromessi per stare a galla.

Nel testo del Qohelet  sembra invece che tutto sia un gioco di potere, un modo per affermarsi sugli altri. Il sapiente coincide in qualche modo con il furbo che sa come stare al mondo, magari a scapito degli altri.

 

Si fa presto a recuperare l’intera situazione – di per sé così compromessa – in una prospettiva moraleggiante. Ma sono moralismi equivalenti a delle pure chiacchiere, che fanno un po’ di rumore, muovono l’aria; poi, alla resa dei conti, non ottengono in nessun modo l’effetto di operare un chiarimento, di promuovere una purificazione, di aprire una strada di conversione per quelle coscienze corrotte; anzi, tutto questo moralismo serve a lasciare il mondo così com’è: serve addirittura a convincere gli uomini che va bene così com’è. «Coloro che temono Dio» saranno felici, anche se adesso sono dei disgraziati,

“… appunto perche provano timore davanti a lui, e non sarà felice l’empio e non allungherà come un’ombra i suoi giorni, perché egli non teme di fronte a Dio. Sulla terra c’è un’altra vanità: vi sono giusti ai quali tocca la sorte meritata dai malvagi con le loro opere, e vi sono malvagi ai quali tocca la sorte meritata dai giusti con le loro opere. Io dico che anche questo è vanità (8,12b-14).”

È vanità il tentativo di aggiustare le cose con qualche formula dottrinaria, che di fatto serve soltanto a rinviare il problema. Ma intanto il problema sta sempre tutto qui: il mondo non cambia, il cuore umano è prigioniero, e lo stesso insegnamento sapienziale diventa una perversione dannosissima per le coscienze umane. E quindi?

Qohelet ritorna alle sue considerazioni:

“  Perciò faccio l’elogio dell’allegria, …”

Ci vuole una vita tranquilla: mangiare, bere, dormire. Però noi già sappiamo che neanche mangiare, bere e dormire sono garantiti,

“… perché l’uomo non ha altra felicità sotto il sole che mangiare e bere e stare allegro. Sia questa la sua compagnia nelle sue fatiche, durante i giorni di vita che Dio gli concede sotto il sole. Quando mi dedicai a conoscere la sapienza e a considerare le occupazioni per cui ci si affanna sulla terra

-poiché l’uomo non conosce sonno né giorno né notte – ho visto che l’uomo non può

scoprire tutta l’opera di Dio, tutto quello che si fa sotto il sole: …”

Bisogna notare che questa vita allegra, o tranquilla, coincide con la rinuncia a capire: coincide con la rinuncia alla ricerca sapienziale. Non è la ricerca sapienziale che ci aiuta. È invece rinunciando a essa che allora rimaniamo al nostro posto. Ma tutto è così precario, tutto è sempre così infondato, tutto rimane per noi inaccessibile. E noi possiamo soltanto affidarci al mistero imperscrutabile di Dio.

 

 

 

Possiamo chiudere con alcune domande personali:

 

  1. Quali differenze vedo io tra la sapienza del Vangelo e la  sapienza secondo la visione del mondo?

 

  1. Che sentimenti provo quando, cercando di essere evangelico, mi scopro “fuori dal mondo”?

 

 

  1. La sapienza secondo il Vangelo è praticabile o è solo una utopia?