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GIOSUE’ E L’INGRESSO NELLA TERRA PROMESSA
Generalmente viene riconosciuta un’unità letteraria, e quasi una «continuazione», tra Giosuè e il Pentateuco (specialmente il Deuteronomio), così che si è ipotizzato una specie di «Esateuco». Oggi sembra innegabile una redazione deuteronomista di Giosuè, riconoscibile in misura diversa anche nei libri dei Giudici, di Samuele e dei Re. Si è fatta l’ipotesi, allora, che il Deuteronomio rappresenti l’inizio di una grande storia religiosa, detta appunto «storia deuteronomistica». Queste ipotesi rimangono sempre perfettibili, e noi rinviamo, in questa materia, agli studi scientifici più aggiornati. Il motivo, invece, per cui ci interessa qui una specie di «dittico» formato da Dt e Gs,è di ordine teologico e spirituale. Dt insiste, in manièra quasi ossessiva, sul fatto che il paese, in cui Israele sta per mettere piede, è un puro dono che il Signore gli fa per tenere fede alle promesse fatte ai padri. Gs racconta la conquista della terra di Canaan (Gs 1-12), e ne descrive geograficamente la distribuzione tra le dodici tribù.
DONO O CONQUISTA ?
L’intelligenza e il superamento di questo dilemma segna la svolta e il progresso nella vita di fede. Si tratta di un progresso nella comprensione di come la più pura obbedienza di fede al Signore e alla sua grazia non escluda e non ometta, ma anzi esiga, una cooperazione intraprendente e coraggiosa della libertà del popolo credente.
Non si può e non si deve, però, rimanere troppo a lungo in braccio al papà o alla mamma, o alla nutrice, né si può contare indefinitamente su di una liberazione in virtù di un trasporto su ali di aquila. Viene il giorno in cui il bimbo va messo in terra e invitato a camminare da solo, facendo appello all’autonomia delle sue gambe. Non è la sapienza del proverbio pagano: «Aiutati, ché Dio ti aiuta!», ma quella della fede autentica: «Dio per primo, senza di te, è intervenuto in tuo favore (= ha cominciato ad «aiutarti»), ed egli immancabilmente continuerà a farlo sempre, talmente che anche tu devi cominciare ad aiutarti, insieme a lui, cioè nella linea di ciò che egli ha cominciato in te senza di te. Dio ti aiuta affinché tu ti aiuti!
La liberazione (passiva), operata dal Signore, deve interiorizzarsi e diventare libertà (attiva) del soggetto umano, ed essere sperimentata da questo come forza motrice propria. È una lezione fondamentale per sperimentare e comprendere che cosa sia la grazia, il dono di Dio, che non è mai un surrogato, un sostituto o un complemento dell’attività umana. Tutto questo va tenuto presente da colui che legge il libro di Giosuè. Bisogna essere capaci di contemplare e di ammirare un Dio che si rivela nella storia di un popolo, in un momento in cui questo passa dalla condizione nomadica e pastorizia a una condizione di insediamento agricolo, e per di più in un paese abitato da sette popolazioni già insediate in esso. Il paese-dono di Dio per Israele è occupato da altri; il regalo che il Signore intende fare al suo popolo è già in mano ad altri popoli! Con Giosuè è arrivato il momento di fare i conti con la realizzazione pratica di quella promessa.- Come nella storia di Giacobbe, più Israele crede, alla promessa del Signore , più deve affrontare l’altro e risolvere il problema delle sue relazioni con Lui: la carità è il campo di applicazione immediata della fede . “ Mai senza l’altro “!.Il credente scopre che se è Dio che fa tutto ( tutto è grazia operante ! ), tutto resta da fare alla libera corrispondenza dell’uomo, sempre sostenuta dalla grazia cooperante di Dio. Tutto dipende dalla libertà di Dio, persino il conseguente mettersi in moto della libertà dell’uomo. Dio non opera per primo, alla sua maniera, senza che io operi per secondo, alla mia maniera. Sotto la guida di Giosuè, Israele non ha difficoltà a prendere coscienza che il dono che il Signore gli fa, egli se lo deve conquistare.
2) I GIUDICI
Dopo la morte di Giosuè, per due secoli Israele sembrò destinato a cadere per lotte interne o a essere distrutto da invasori esterni. Questo è conosciuto come il periodo dei Giudici (1200-1030 a.c. circa).
I nomi della maggior parte di questi primi condottieri di Israele sono pressoché sconosciuti. Ma alla fine uno riuscì a entrare nella galleria degli eroi popolari: Sansone.
Il libro dei Giudici costituisce una lettura emozionante, ma è anche molto istruttivo se sappiamo guardare dietro le scene.
LA DISUNIONE
Per molto tempo le tribù di Israele furono impegnate in lotte private.
*Lottarono per conservare e allargare il territorio che avevano preso ai Cananei.
*Erano separate le une dalle altre da monti e valli.
* Erano anche separate tra loro dai territori ancora occupati dai Cananei e da quelli che erano stati invasi da altri popoli.
* Non avevano una capitale; non avevano un re né un centro-pilota; non avevano un esercito nazionale.
* Oltre ai loro problemi interni, c’era una pressione continua dall’esterno in quanto erano spesso attaccate da vari popoli stranieri.
Eppure riuscirono a conservare un senso di unità in due modi, entrambi con effetti pratici.
*Avevano un senso comune di essere Israele. Si appartenevano l’una all’altra e sentivano l’obbligo morale di aiutarsi fra loro. Ciò è illustrato dalla storia di Gedeone, che mobilitò un esercito di differenti tribù per sconfiggere i Madianiti.
*Si ricordavano anche di essere il popolo di Dio. Le lotte che sostennero per sopravvivere furono considerate guerre di Dio contro i suoi nemici. Egli era il loro vero re, superiore ai capi territoriali. E, sebbene le tribù coltivassero usanze e tradizioni proprie, esisteva a Silo un centro comune di culto di Dio. Là era custodita l’arca dell’alleanza.
L’INFEDELTÀ
Il libro dei Giudici è piuttosto deprimente perché ricorda come Israele si sia ripetutamente
allontanato da Dio. Anche se affermavano di essere il popolo di Dio, cominciarono ad adorare le divinità di coloro che abitavano prima la loro terra.
Perciò Dio permetteva che venissero invasi, finché, nella sventura, si rivolgevano di nuovo a lui e pregavano di essere liberati. Tutta la storia è come una gigantesca altalena di eventi. Per noi può essere facile condannare Israele e meravigliarci nel vedere quanto spesso siano stati infedeli. Sembra incredibile che non abbiano capito la lezione. Dobbiamo però cercare di comprendere quanto e come furono tentati.*Il culto di Baal sembrava naturale. Dopo tutto, era il dio della terra che avevano occupato. E ovviamente gli indigeni lo avevano trovato degno di credito. Bastava guardare ai loro successi nell’agricoltura, nel commercio, nella civiltà.
*Israele era del tutto privo di esperienza in fatto di commercio e di agricoltura quando occupò il paese. Erano stati schiavi in Egitto e poi avevano vagato nel deserto per un’intera generazione. Così pensarono che, mentre onoravano Iahvè, non ci fosse niente di male a chiedere l’aiuto delle divinità della loro nuova terra.
*Baal era ritenuto il dio della pioggia, della fertilità e dei raccolti, di una vita sessuale feconda, degli affari e del commercio. In altre parole, era il dio di tutto ciò che appariva importante nel concreto.
*Quanto a Dio, certo era grande in battaglia ed era rassicurante averlo dalla propria parte. Però era un tantino troppo stretto e pignolo, e troppo lontano dalla vita reale. Per il quotidiano, per gli affari pratici, c’era bisogno di Baal. Così almeno pensavano.
Forse gli Israeliti non erano molto differenti da tanti che si dicono cristiani. Ritengono che Dio vada bene di quando in quando, alla domenica, o a Natale e a Pasqua. E certo va anche bene se sta dalla loro parte in tempo di guerra.
Però spendono la maggior parte della loro vita ad adorare altre divinità: il successo, il potere, la posizione sociale, il denaro, la tecnologia e così via. Dio sembra molto lontano dalle cose che realmente contano nella vita di ogni giorno.
Però un atteggiamento del genere e un simile modo di vivere sono un tradire Dio. Dio infatti vuole essere il Signore di tutta la vita e non soltanto di un pezzetto di religiosità molto comoda. Se cerchiamo di mescolare Dio con altre divinità troveremo, come trovarono gli Israeliti, che non c’è pace né unità nella nostra vita.
LA LIBERAZIONE
Nel libro dei Giudici non appare tanto la ripetuta infedeltà di Israele quanto e soprattutto le grandi gesta operate da Dio per liberare il suo popolo. Per dimostrarlo, l’autore ricorre ad alcune figure eroiche, chiamate giudici. Chi erano questi liberatori di Israele e perché furono chiamati giudici?
*Fu Dio a chiamarli a questa impresa. Non si autodesignarono. Alcuni di essi furono anzi eroi riluttanti! Non furono nemmeno eletti democraticamente dal popolo. Fu Dio a prendere l’iniziativa, come abbiamo già visto.Furono gli agenti speciali di Dio. Agirono in suo nome, eseguirono i suoi piani, esercitarono la sua autorità. In quell’epoca non c’era un re a tempo pieno perché Dio era considerato il vero re del popolo. Quando i giudici riportavano una vittoria, era una vittoria di Dio, perché Dio agiva per mezzo loro.
*Furono chiamati giudici perché eseguirono la giustizia di Dio. Siamo portati a pensare al giudice come uno che presiede il tribunale per punire i criminali e dirimere le contese. Certamente questa fu una parte dell’opera compiuta da alcuni giudici.
Però la finalità della giustizia di Dio andava molto più in là dei semplici aspetti legali. Se il popolo era oppresso e calpestato, questa era un’ingiustizia. Perciò, quando i capi si alzavano per sconfiggere e scacciare i nemici invasori, questo era visto come un atto di giustizia di Dio.
*Essi agirono con la forza dello Spirito di Dio. Ognuno di loro non era proprio nulla di speciale. Non appartenevano a una dinastia regale e non erano superuomini. Erano speciali perché lo Spirito agiva in loro e dava loro l’autorità.
Gedeone è il migliore esempio di ciò. Protesta di essere debole e insignificante; ma Dio gli risponde: «Ci riuscirai col mio aiuto». Più avanti leggiamo: «lo spirito del Signore scese sopra Gedeone» (Gdc 6,34). Letteralmente: «lo Spirito di Dio indossò Gedeone come se fosse un vestito».
Quando Israele fu governato da un re, questi fu unto con olio, simbolo dello Spirito di Dio. Ciò indicava che era pieno della forza e della presenza di Dio per eseguire il suo volere.
*Furono modelli di fede. L’autore della lettera agli Ebrei ricorda alcuni giudici nella sua lista di eroi della fede al capitolo 11.
Ciò non significa che siano stati figure luminose di virtù illibate. Alcuni di loro furono caratteri piuttosto insipidi, e anche il migliore ebbe momenti di debolezza e di peccato. Ma confidarono in Dio e gli ubbidirono nonostante le peggiori difficoltà. Ora, in parole semplici, questa è fede autentica.
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