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Ho visto il Signore..

pdf50download50meditazione su “la fede di Maria Maddalena”

1. Chi fu Maria Maddalena?
Bisogna anzitutto sgombrare il campo dall’identificazione con altre “Marie” che compaiono nel Vangelo: non coincide con Maria di Betania (quella che unge il corpo di Gesù) e nemmeno con la peccatrice in casa di Simone il Fariseo.
La tradizione la ha poi identificata e con una certa ragione logica dando alla Maddalena quello spessore che ancora le attribuiamo oggi.
Maria Maddalena fu quindi una delle donne che erano al seguito di Gesù; fu da lui guarita e qui nacque la sua conversione; proveniva da Magdala, un paesino sul lago di Galilea dal quale Gesù è passato molte volte.
Fu presente alla crocifissione del Signore, davanti al sepolcro e per prima vide Gesù risorto.
È così diventata il prototipo della persona che accede alla fede nel risorto.
Ma non solo: essa è, dopo Maria Vergine, il simbolo della Chiesa stessa perché ha amato e seguito il Signore, ha fatto esperienza di lui vivente, ha portato l’annuncio ai fratelli.
2. UN EPISODIO CHIAVE
Il testo su cui ci soffermiamo, considerato anche il tempo pasquale, è Gv 20, 1-18.
Maria va al sepolcro con il buio: un gesto insensato che dice la sua inquietudine.
Ella dà subito una interpretazione dell’evento, una sua lettura precipitosa dei fatti che le impedisce, al momento di fare esperienze più profonde entrando nel sepolcro. Perché lo fa? È schiacciata dall’emozione? Presume di sapere già come sono andate le cose?
Mentre i discepoli se ne vanno con un passo lento e riflessivo, come se dovessero accostarsi razionalmente al mistero, Maria rimane lì piangendo. Si esprime così tutto l’amore per Gesù, ma anche tutta la disperazione di chi ha perso un punto di riferimento.
Eppure non c’è ragione di fermarsi là, se il corpo non c’è più…
Anche agli angeli ripete la sua versione dei fatti che è diventata una ossessione tanto che gli angeli stessi non la scuotono più di tanto.
Questi pensieri martellanti, questa tristezza paralizzante le impedisce di riconoscere Gesù il quale la invita ad un rapporto personale; le chiede “chi cerchi” e non “cosa cerchi” e la chiama per nome.
Solo allora Maria lo riconosce, perché si sente conosciuta.
Le parole di Gesù “non mi trattenere” indicano proprio il bisogno di uscire dai suoi pensieri, dai suoi schemi, dalle sue ossessioni.
Se si affida , se si rende disponibile farà esperienza del risorto.
L’esperienza di Cristo risorto è infatti totalmente nuova e come tale rinnova anche la persona.
3. IL CAMMINO CREDENTE DI MARIA DI MAGDALA
Come ha potuto Maria giungere fino a qui, cioè ad essere la prima testimone della resurrezione?
Per l’amore che ha avuto per Gesù: ella è presente infatti sotto la croce durante la passione.
Si trova lì perché lo ha saputo fin dalla Galilea: Mt 27, 51-56.
Quella partecipazione alla croce è quindi il compimento del suo servizio, della sua sequela.
Il più grande servizio di Maria è la contemplazione della croce di Gesù: quando nulla può più fare ma fa tutto il Signore.
4. UN MESSAGGIO PER NOI: L’ECCESSO (testo di C. M. Martini)
Di fronte alla figura della Maddalena vogliamo interrogarci più a fondo sul messaggio per noi, il messaggio dell’eccesso.
In realtà abbiamo notato nel comportamento della donna la presenza di eccedenze, di eccessi tipici di una persona la cui definizione più propria è quella di “amante estatica”: esce da sola nella notte verso il sepolcro, vi si ferma come aspettando qualcosa o qualcuno, mentre Pietro e l’altro discepolo ritornano indietro; il suo stesso modo di parlare è in qualche modo eccessivo, come di chi non sa bene ciò che dice. L’eccessività è resa ancora più evidente dal parallelo con la sposa del Cantico e con la protagonista dell’unzione di Betania.
Ci chiediamo allora: che cos’è questo eccesso che salva, come vorremmo oggi sottolineare? Anzi, ancora di più e precisando quasi al paradosso: che cos’è questo eccesso che solo salva?
Dobbiamo anzitutto riconoscere che nel mondo è presente un eccesso di male. Esso si verifica quando si oltrepassa la pura stupidità umana, quella che causa danni anche gravi, ma li provoca per incuria, per inettitudine, per negligenza, per fragilità, per debolezza. Allorché si supera tale livello, allorché si supera anche quella che sarebbe la misura della rappresaglia ad aequalitatem, cioè: occhio per occhio, dente per dente, per arrivare alla pianificazione del male fatta con cinismo e crudeltà, per godere del male altrui – è il caso dei lager, dei campi di concentramento -; allorché ci si esalta per lo schiacciamento dell’altro, come avviene nella tortura, nelle forme di sadismo, allora tocchiamo con mano che c’è un eccesso di male. Lo stesso eccesso che vediamo scatenarsi contro Gesù sulla croce.
È un eccesso, lo sappiamo bene, che può riguardare i rapporti interpersonali, per esempio nelle famiglie, dove c’è un farsi soffrire a vicenda dolorosamente, un tormentarsi per il gusto di tormentarsi. È un eccesso che arriva a colpire sovente intere popolazioni, col genocidio – quello del popolo ebraico, come quello verificatosi in Armenia o in Africa centrale – e con tutte le forme di oppressione e di arbitrio.
Un male spaventoso, indicibile, incredibile, tanto più che perpetrato, spesso reciprocamente, da persone che fino a poco tempo prima si incontravano, commerciavano, vendevano, compravano, fino al sorgere di assurde malvagità. Gerusalemme, città distrutta, riconquistata e ricostruita almeno 37 volte nella storia, che ha vissuto una terribile esperienza di male, ne è tragicamente testimone.
Naturalmente nel mondo c’è pure un eccesso del bene, un eccesso che vorrei tentare di definire richiamando quelli che potrebbero essere dei sinonimi. Un sinonimo potrebbe essere “il trascendente”, qualcosa che trascende, che va oltre; un altro “l’estatico”, che fa uscire da sé; oppure “la follia per Cristo”, come la tradizione soprattutto orientale ha definito uno stato di vita “eccedente”: i folli per Cristo; o ancora: il superamento delle abitudini mondane, il calpestamento di ogni convenzione, potremmo dire – senza valenza negativa – “la trasgressione”.
Quando siamo di fronte a un tale eccesso? Allorché il bene supera e travalica il puro do ut des, il puro contratto paritario (ti do tot, mi dai tot), perché qui siamo ancora all’equilibrio. L’eccesso di bene si verifica nel momento in cui si supera la relazione di stretta giustizia. Allora si dona in totale gratuità, secondo la parola di Gesù: «Quando fai un invito invita gli storpi e gli zoppi, perché non hanno da darti il contraccambio» (cfr. Luca 14,12-14); si dà in pura perdita – il perdono, dono iperbolico, è tutto in perdita, è dare a chi non merita, a chi ci è ostile -, anche oltrepassando le buone maniere, il cosiddetto buon senso della gente, il senso comune della misura. E’ tutto un eccesso di bene.
Porto alcuni esempi tipici.
San Francesco che si spoglia davanti al padre, per indicare che lascia tutte le sue ricchezze, la famiglia, i suoi amici, oppure bacia il lebbroso, manifesta un eccesso di bene. Non è obbligato a fare così, è qualcosa di straordinario che ci rende stupefatti e strabiliati.
Anche in sant’Ignazio di Loyola che si spoglia delle sue belle vesti per scambiarle con quelle di un povero c’è un eccesso, un’eccedenza, che meraviglia e sorprende. Lo stesso avviene riguardo a un altro episodio raccontato nella sua Autobiografia: trovandosi egli a Parigi, entra in una casa dove gli dicono che c’è timore di peste e rischio di contagio. Proprio in quel momento comincia a sentire un dolore fortissimo al braccio e una gran paura. Allora si morde il braccio, dicendo a se stesso: se è peste, prenda tutto il mio corpo! (cfr. n. 83). È un eccesso voluto per combattere la paura e sconfiggerla.
Ancora, quando Madre Teresa di Calcutta lascia la congregazione dove aveva un incarico onorato e ben valutato per dedicarsi ai moribondi, calpestando il senso comune della gente secondo la quale non serviva a niente dato che morivano comunque, compie un atto di eccedenza, travalica il normale senso del bene.
Mi fermo qui, ma nella storia della Chiesa sono numerosissimi gli atti di eccedenza, di superamento, di un andare al di là.
Noi viviamo questo eccesso in ogni nostro atto che va al di là del puro dovere, del dare e ricevere, là dove viviamo un’obbedienza che costa («non sia fatta la mia, ma la tua volontà» Luca 22,41) o un perdono che ripugna.
E di fronte a tanti esempi di eroica “eccessività” che non mancano intorno a noi, avvertiamo qualcosa di fortemente evangelico che ci attrae, ci conquista, è per così dire intoccabile, inappuntabile, non tollera obiezione alcuna, perché ha una forza nativa che nasce dalla stessa imitazione di Gesù e dal Mistero di Dio così come in esso si manifesta.
Vorrei ricordare che il libretto degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio è tutto fondato sull’eccedenza, sul magis, sul “di più”, sull’ “oltre”.
Tutti gli Esercizi spirituali sono fondati su questo “di più”. Pensiamo alla conclusione della meditazione del Regno, che abbiamo già considerato: coloro che vorranno maggiormente segnalarsi nel servizio del loro re universale, accetteranno e desidereranno un “di più” di povertà e di umiliazioni per seguire Gesù (cfr. n. 97). E anche là dove gli Esercizi parlano di coloro che, non sentendosi di compiere una scelta nuova, vogliono tuttavia regolare la propria vita secondo una giusta misura, si dice che devono determinare riguardo agli averi, alla famiglia, alla casa, «senza volere o cercare cosa alcuna che non sia, in tutto e per tutto, a maggiore lode e gloria di Dio nostro Signore» (n. 189). Di nuovo tutto è fondato sul “di più”: liberarsi maggiormente, uscire più sciolti da qualsiasi tipo di attaccamento e di legame a noi stessi.