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Amos

pdf50AMOS DALLA PARTE DEGLI ULTIMI, DALLA PARTE DI DIO.
Per comprendere il messaggio di Amos, dobbiamo partire dalle sue visioni, anche se esse si trovano poste alla fine del libro È”vero che non equivalgono all’ esperienza della vocazione e che si sono verificate in momenti diversi; riflettono tuttavia l’esperienza profonda che Dio fece vivere al profeta e l’atteggiamento che egli adottò nella sua predicazione.
Avvertiamo in esse un progresso crescente. Nelle due prime (7, 1-6) Dio manifesta la sua volontà di castigare il popolo con un flagello di cavallette e una siccità. Il profeta intercede e il Signore si muove a compassione e perdona. Amos concentra l’attenzione sul castigo; non pensa se sia giusto o ingiusto e, vedendo il popolo tanto piccolo, chiede perdono per lui. Tuttavia, nella terza e quarta visione Dio lo obbliga a fissare la situazione del popolo. La terza (7, 7-9) paragona Israele a un muro, e Dio ne fa la prova col piombino per vedere se è dritto o bombato. Benché il testo non lo dica, Amos comprende che il muro non può stare in piedi e che il crollo è inevitabile. Il male non è fuori (cavallette, siccità) ma dentro. Per questo non ha senso l’intercessione del profeta e Amos tace.
Lo stesso avviene nella quarta visione (8, 1-2). Il popolo somiglia a un cesto di fichi maturi. La vita della frutta termina con il sopraggiungere della maturazione: da questo momento è alla mercé del primo passante. Lo stesso avviene per il Regno del nord: è ormai arrivato a maturazione; basta solo che una potenza straniera venga a divorarlo.
La quinta visione sviluppa questa stessa idea con un’immagine diversa, quella di un terremoto (9, 1ss) che apre la strada a una catastrofe militare e alla persecuzione da parte di Dio stesso. Così comprendiamo meglio la progressione crescente delle visioni: da un castigo in apparenza ingiustificato (cavallette, siccità), Amos passa a rivelare la corruzione del popolo (muro, cesto di fichi),· che rende inevitabile la catastrofe (terremoto). Il che avverrà di fatto quarant’anni più tardi, quando le truppe assire conquisteranno Samaria e il Regno del nord scomparirà dalla storia. Dire questo al tempo di Geroboamo II significava passare per pazzo, annunciare cose che parevano impossibili. Ma questo è il messaggio che Dio gli affida e con il quale Amos si presenta al popolo;
Il tema del castigo si ripete lungo tutto l’arco del libro, come un leitmotiv insistente. A volte si tratta di affermazioni generali: «Li schiaccerò al suolo, come un carro carico di covoni» (2, 13); « Ci sarà lamento in tutte le vigne quando passerò in mezzo a te» (5, 17). Ma in altre occasioni Amos parla apertamente di un attacco nemico e possiamo ricostruirne la sequenza di devastazione, rovina, morte e deportazione (cf. 6,14; 3, 11; 5, 9; 6,11; 6, 8b-9; 5,27; 4, 2-3).
Ma Amos non può limitarsi ad annunciare il castigo. Deve spiegare alla gente che cosa lo motivi. Per questo denuncia una serie di peccati concreti, tra cui spiccano quattro: il lusso, l’ingiustizia, il falso culto a Dio e la falsa sicurezza religiosa.
Una delle cose più criticate da Amos è il lusso della classe alta, quale traspare soprattutto nei magnifici palazzi e nella forma di vita. Amos attacca, come nessun altro profeta, i palazzi dei ricchi, costruiti con pietre squadrate e pieni di oggetti di valore; e come se fosse poco, questa gente si permette anche di avere uno chalet per passarvi l’inverno (3, 15) e di trascorrere le giornate di festa in festa, tra ogni sorta di comodità (cf. 6, 4-6a). Come afferma Von Rad, questa critica del lusso ha: radici molto profonde: «Ciò che (Amos) tollera di meno nelle classi superiori è qualcosa di molto profondo; non si tratta della trasgressione di determinati comandamenti, dal momento che nessun precetto proibiva di dormire in letti lussuosi o di ungersi con profumi costosi, come nessuno imponeva di rattristarsi delle disgrazie di Giuseppe. Si tratta dunque di un atteggiamento globale che Amos addita: la compassione solidale con gli avvenimenti del popolo di DIO»
Le ingiustizie. La cosa peggiore è che questa situazione l ricchi se la possono permettere solo a spese dei poveri, dimenticandosi di essi (6, 6b) e opprimendoli. In definitiva, ciò che questa gente accumula nei palazzi non sono le «casse di avorio» (3, 15), né le« coperte di Damasco» (3, 12b), bensì «le violenze e i crimini» (3, 10). Le loro ricchezze le hanno ottenute «opprimendo i poveri e maltrattando i miseri» (4, 1), «disprezzando il povero ed estorcendogli il tributo del grano» (5,11), «spremendo il povero, spogliando i miserabili» (8, 4), vendendo gente innocente come schiavi (2, 6), falsificando le misure e aumentando i prezzi (8, 5b). Questo modo di agire, completamente contrario allo. spirito fraterno che Dio esige dal suo popolo, viene spalleggiato dalla venalità dei giudici, che «convertono la giustizia in amarezza e buttano il diritto per terra» (5, 7), che «odiano chi li accusa e detestano chi parla loro con franchezza» (5, 10), che «accettano di essere subornati e fanno ingiustizia al povero in tribunale» (5, 12).
Il culto. Nonostante tutto, gli abitanti del Regno del Nord pensano che questa situazione di disuguaglianza sociale, di oppressione e di ingiustizia sia perfettamente compatibile con una vita religiosa. Si fanno pellegrinaggi a Betel e .a Gàlgala, si offrono sacrifici tutte le mattine, si consegnano le decime, si organizzano preghiere e atti di ringraziamento, si fanno voti e si celebrano feste. E credono che questo basti, per essere graditi a Dio. Ma Dio lo rigetta, per mezzo del suo profeta.
Le visite ai santuari solo servono a peccare e a far aumentare i peccati (4, 4). Le altre pratiche non rispondono alla volontà di Dio, ma al beneplacito dell’ uomo (4, 5). Il Signore non vuole offerte, né olocausti, né canti, ma diritto e giustizia (5,21-24).
Infine, Amos attacca la falsa sicurezza religiosa. Il popolo si sente sicuro perché è «il popolo del Signore », liberato da lui dall’Egitto (3, 1) e scelto tra tutte le famiglie della terra. Considerandosi in una situazione di privilegio, pensa che non gli può capitare nessuna disgrazia (9, 10).
Di più, aspetta la venuta del «giorno del Signore », come giorno di luce e di splendore, di trionfo e di benessere. Amos butta a terra tutta questa concezione. religiosa. Israele non è migliore degli altri regni (6, 2). L’uscita dall’Egitto non costituisce nessun privilegio particolare, perché Dio ha fatto uscire anche i filistei da Creta e gli assiri da Kir (9, 7). E se ci fu un, beneficio particolare, esso non è un motivo per sentirsi sicuri, ma per una maggiore responsabilità davanti a Dio.
I privilegi passati, di cui il popolo non ha voluto approfittare, si convertono appunto in accusa e causa di castigo: «Voi io scelsi fra tutte le famiglie della terra; per questo io vi domanderò conto dei vostri peccati».(3, 2). Così si spiega che quando il giorno del Signore arriverà, sarà un giorno terribile, tenebroso e oscuro (5, 18-20; 8, 9-10). E con questo torniamo al tema iniziale del castigo, che Amos era chiamato ad annunciare e giustificare.
1) Amos vede il male della sua società, non vive chiuso nei suoi interessi.
Che sguardo ho sul mondo intorno a me, sulla realtà sociale o politica?
Mi interpella o mi è estranea? È parte del mio essere cristiano?
2) Ci sono valori morali quali la giustizia, l’onestà e il rispetto che valgono per tutti e permettono di dialogare con chi non crede.
Com’è il mio rapporto con persone non credenti?
3) La mia religiosità: fatta di gratitudine per i doni di Dio o vuota pratica esteriore?
4) Amos pagò con la vita e l’esilio la sua fede.
Qual è il valore della mia testimonianza?