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IL MONACHESIMO DEL DESERTO  DETTI DEI PADRI

* I pensieri entrano nel nostro cuore come il grano quando viene seminato; in questo non vi è condanna. Ma nel consentire ad essi e nel disporne male, in questo vi è condanna.
Il segno di riconoscimento del consenso è che la cosa piaccia all’uomo, e che egli ne gioisca in cuor suo, e vi pensi con piacere. Se uno invece resiste al pensiero e lotta per non accoglierlo, questo non è consenso, ma lotta, e questo rende l’uomo provato e lo fa progredire .
* Otto sono i pensieri malvagi ai quali si possono ricondurre tutti gli altri. Il primo è quello della gola, poi viene la lussuria, l’amore per il denaro, la tristezza, la collera, l’acedia, la vanagloria, la superbia. Che questi pensieri turbino o meno la nostra anima, non dipende da noi; ma che si attardino o che non si attardino, che mettano o non mettano in movimento la passione, questo dipende da noi.
I. Il pensiero della gola suggerisce al monaco di abbandonare al più presto la sua ascesi; gli presenta davanti agli occhi lo stomaco, il fegato, la milza, l’idropisìa, una lunga malattia, la privazione del necessario, la mancanza di medici. Spesso lo spinge a ricordare alcuni fratelli che sono caduti negli stessi mali. A volte convince i malati stessi ad andare a trovare quelli che vivono nella sobrietà per raccontare i loro malanni e spiegare che sono causati dall’ ascesi.
II. Il demonio dell’impurità induce a desiderare la bellezza dei corpi e assale con maggior violenza quelli che vivono in sobrietà per farli desistere convincendoli che non giungeranno ad alcun risultato.
III. L’amore del denaro suggerisce che si vivrà a lungo, che non si avrà più la forza di lavorare con le proprie mani, che si patirà la fame, che giungeranno le malattie, 1’amarezza della povertà, e che vergogna dover ricevere da altri il necessario!
IV. La tristezza sopravviene a volte in seguito alla frustrazione dei desideri, a volte invece è conseguenza della collera. Quando nasce dalla frustrazione dei desideri, accade questo: alcuni pensieri si fanno avanti e portano l’anima a ricordarsi della casa, dei genitori e della vita precedente. Poi, quando vedono che, invece di resistere, l’anima si mette a seguirli e si compiace nei piaceri suggeriti dai pensieri, allora si impadroniscono di lei e la sprofondano nella tristezza ricordandole che nella vita che ora conduce non vi sono più e non possono esserci più le cose di un tempo e l’anima, infelice, quanto più si è compiaciuta nei primi pensieri, tanto più è abbattuta e umiliata dai secondi.
V. La collera è una passione vivissima. Così viene chiamato il ribollire e il movimento della parte irascibile contro chi ci ha offeso o sembra averci offeso. Essa esaspera l’anima tutto il giorno, ma è soprattutto durante la preghiera che si impadronisce del cuore e gli presenta dinanzi l’immagine di colui che l’ha rattristato. A volte, quando dura a lungo e si trasforma in rancore, di notte provoca turbamenti, svenimenti, pallore, assalti di bestie velenose. Queste quattro cose che fanno seguito al rancore le si può trovare in compagnia di molti altri pensieri.
VI. Il demonio dell’ acedia, chiamato anche demonio di mezzogiorno, è il più pesante di tutti i demoni; assale il monaco verso le dieci del mattino e assedia la sua anima fino alle due del pomeriggio. E dapprima fa sì che il sole appaia lento a muoversi, o immobile, e che il giorno sembri avere cinquanta ore. Poi spinge il monaco a guardare continuamente fuori dalla finestra e a scappare dalla sua cella, a osservare il sole per vedere quanto dista dalle tre del pomeriggio [l’ora del pasto] e a guardare attorno, qua e là, se per caso qualcuno dei fratelli… Gli ispira inoltre un’ avversione per il luogo, per il genere di vita, per il lavoro manuale; poi, gli fa pensare che la carità sia venuta meno tra i fratelli e che non vi sia chi lo consoli. E se per caso in quei giorni qualcuno ha rattristato il monaco, il demonio aggiunge anche il ricordo di questo per accrescere il suo odio. Lo spinge anche a desiderare altri luoghi nei quali potrebbe procurarsi più facilmente quello di cui ha bisogno ed esercitare un lavoro meno faticoso e più vantaggioso, e aggiunge che l’essere graditi al Signore non dipende dal luogo; ovunque, infatti, il divino può essere adorato. A questo aggiunge il ricordo dei familiari e della vita di prima, gli presenta la lunga durata della vita, e pone dinanzi ai suoi occhi le fatiche dell’ ascesi. Come si dice, mette in moto ogni sua arma per spingere il monaco ad abbandonare la cella e a fuggire la lotta. Questo demonio non è seguito, a breve termine, da nessun altro; uno stato di pace e di gioia indicibile subentra nell’ anima dopo la lotta.
VII. Il pensiero della vanagloria è estremamente sottile e si presenta facilmente in quelli che riescono a vivere nell’ ascesi e che desiderano rendere note le loro lotte e procacciarsi la gloria che viene dagli uomini. Esso fa immaginare loro dei demoni che levano grida, donne che vengono guarite, una folla che tocca il loro mantello. A qualcuno predice il presbiterato, e fa sorgere alla sua porta gente che viene a cercarlo; e se non vorrà, lo trascineranno in catene. Avendolo fatto esaltare con vane speranze, se ne va e l’abbandona sia alle tentazioni del demonio dell’ orgoglio, sia a quelle del demonio della tristezza, che introduce in lui altri pensieri contrari a queste speranze. A volte accade anche che lo consegni al demonio dell’impurità, lui che un istante prima era un santo che veniva trascinato in catene!
VIII. Il demonio della superbia cagiona nell’ anima la più penosa caduta. La convince infatti a non riconoscere l’aiuto di Dio, ma a credere che essa stessa è la causa delle sue buone azioni, e a innalzarsi sopra i fratelli giudicandoli ottusi perché tutti ignorano il suo stato. Dietro ad essa vengono la collera e la tristezza e, ultimo dei mali, lo sbandamento dello spirito, la follia, la visione di una folla di demoni nell’aria.
* Disse abba Mosè: “Il vero, discernimento. si acquista soltanto a prezzo di una vera umiltà. La prima dimostrazione di umiltà consiste nel lasciare all’esame degli anziani non solo tutti i pensieri in modo che non ci si fidi affatto del proprio giudizio, ma ci si attenga in ogni cosa alle loro decisioni e si impari a conoscere da loro che cosa debba essere considerato cattivo e che cosa buono. Un pensiero malvagio portato alla luce perde immediatamente il suo veleno, e prima ancora che venga proferito il giudizio del discernimento, il temibile serpente, strappato al suo antro tenebroso e sotterraneo, trascinato alla luce mediante la confessione ed esposto alla vergogna, batte in ritirata. Le sue suggestioni dannose non hanno potere su di noi se non fino a quando restano nascoste dentro al cuore”
* Un solitario assai austero viveva vicino a una comunità monastica. Degli ospiti che si erano recati nella comunità, visitarono anche la cella del solitario e lo costrinsero a mangiare fuori orario. Dopo che ebbero mangiato gli dissero: “Non ti sei rattristato, abba?”. Egli rispose: “La mia tristezza è se faccio la mia volontà”.
* Abba Poemen ha detto: “Vi è uno che sembra tacere e il suo cuore giudica gli altri; costui parla sempre. Vi è un altro che parla dal mattino fino alla sera e custodisce il silenzio, cioè non dice nulla che non sia utile”.
* Istruiti da tali esempi, i padri dell’Egitto non permettono per nessun motivo che i monaci, e soprattutto i giovani, stiano senza far nulla; misurano la profondità della loro vita interiore e il progresso nella pazienza e nell’umiltà dall’impegno e dalla loro laboriosità. Non soltanto rifiutano di accettare qualsiasi offerta per il loro sostentamento, ma con i frutti del loro lavoro provvedono al vitto necessario per i fratelli che vengono a visitarli e per gli ospiti. E ancora raccolgono una grande quantità di risorse alimentari da inviare nelle regioni della Libia che soffrono la fame a causa della sterilità del suolo e anche a quanti nelle città sono detenuti in carcere. Con tali offerte, frutto del loro lavoro, pensano di offrire al Signore un vero sacrificio spirituale (cf. Rm 12,1).
* Dei monaci di Scete si diceva che se qualcuno li sorprendeva nelle loro pratiche ascetiche, o veniva a conoscerle, non le ritenevano più virtù, bensì peccato.
Un anziano disse: “Chi manifesta e rende note le sue opere buone è simile a colui che semina la terra in superficie; vengono gli uccelli del cielo e mangiano la sua semente. Chi invece nasconde il suo modo di vivere come colui che semina in un solco scavato nella terra raccoglierà il centuplo”.