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Esodo

ESODO   MOSÈ, IL FARAONE E NOI.

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Da “VITA DI MOSÈ” DI CARLO M. MARTINI.
Il faraone è dunque un uomo veramente nobile, intelligente, perspicace, capace di arrendersi all’evidenza. Però è anche un uomo condizionato dalla sua posizione, dai suoi privilegi, dal suo essere faraone: ecco il suo vero dramma. Il faraone vorrebbe lasciar partire, ma non può, perché andrebbe contro troppi interessi. Lo vediamo, per esempio, nella prima drammatica istruzione ai capi dei lavori forzati:« Rispose: “Fannulloni! Siete fannulloni voi; per questo dite: Dobbiamo partire, dobbiamo sacrificare al Signore. Ora andate, lavorate”» (5,17 s.). Insomma, il faraone capisce che se va avanti quel progetto, l’economia d’Egitto ne soffrirà e verrà a mancare il lavoro; invece bisogna lavorare e produrre per la grandezza dell’impero.
Immaginiamo il faraone mentre discute con Aronne e Mosè; li fa sedere e dice: «Guardate che voi state per fare una pazzia! Andare nel deserto a morire come topi non è nel vostro interesse; inoltre lasciate l’Egitto in una situazione disastrosa. Io non posso, per la mia responsabilità, permettere che il paese d’Egitto cada nel disordine; in fondo, stando qui, avete pane, lavoro, sicurezza. L’Egitto ha la sua struttura ordinata, che io devo difendere e che non posso non difendere ». Questo pover’uomo arriva, al limite, a riconoscere il peccato, ma poi nega tutto e si ritira: altrimenti crollerebbe l’intero sistema egiziano; la gente morirà di fame, ci sarà carestia, ci saranno disastri; morirà questo popolo dissennato che vuole andare a morire di fame e di sete, e morremo noi; il mio dovere, la mia carica, la mia responsabilità è questa. Ecco chi è il faraone: un uomo intelligente., perspicace, esperto, nobile, ma legato dai suoi privilegi, dalla sua posizione, dal suo ruolo sociale.
Qui vi invito a pensare chi sia il faraone in noi, che cosa egli rappresenti. Nella figura del faraone si riassumono tutte quelle forme che ci condizionano, senza le quali noi agiremmo in un certo modo, eppure esse ci risucchiano. I condizionamenti personali sono moltissimi; anche la psicoanalisi contribuisce a scoprirli in noi; ci attorniano, sempre pronti a scattare. Magari non li avvertiamo e viviamo tranquilli, ma poi, quando capitano certe occasioni, scatta quel certo condizionamento che ci fa dire e fare cose, che non avremmo mai pensato di dire o di fare.
Il potere dei nostri condizionamenti
Quante volte succede che certe persone, parlando in pubblico, proclamano grandi principi, poi di fronte alla minima decisione si ritirano: questo non si può fare! Anche il faraone si diceva: «In fondo io agisco bene, non posso agire diversamente, sono un uomo onesto! ». Il fatto è che siamo condizionati da quelli che si chiamano i «punti neri », cioè da zone d’ombra in cui neppure vediamo le cose, neppure ci accorgiamo che certe cose non dovremmo farle; si tratta di vere chiusure, tante volte inconsce per noi, e magari facilmente riconoscibili da parte degli altri. Capita tante volte che qualcuno a stento trovi materia di confessione, ma se poi si interrogano gli amici, specialmente se si hanno responsabilità, allora viene fuori tutta una serie di cose che non si vedono, non si sanno, non si capiscono, non si accettano… Tutto ciò dipende dai nostri condizionamenti personali.
Ci sono poi i condizionamenti di gruppo, che ci coinvolgono, ci prendono dentro e ci fanno giudicare in base a pregiudizi comuni secondo ideologie e opinioni verbali già formate, che ormai non si dissipano più, soprattutto quando arriviamo a dire:
«Questo è evidente, non si discute ». Dal tono già si capisce che quello è un discorso condizionato,  perché si ha paura di affrontarlo sul serio. Una persona in difficoltà, ad esempio, potrebbe dire:
«No, c’è un limite oltre il quale non si va: la mia dignità! ». Parola bellissima, ma sotto cui tante volte nascondiamo tutte quelle cose che non vogliamo mettere in discussione. La mia dignità?
Quale? Quella del privilegiato, del benestante, dell’uomo di Chiesa, oppure quella del seguace del Cristo crocifisso?
Ecco i nostri condizionamenti! A loro riguardo è inutile tentare delle introspezioni: non li vediamo.
Sono solo le occasioni che ce li dimostrano, facendo apparire quelle zone d’ombra che noi non siamo capaci di – o non vogliamo – prendere in considerazione.
Il potere vuole potere, il faraone è faraone: non si può chiedere al faraone di umiliarsi, perché come faraone istintivamente egli riprende possesso dei propri privilegi e come tale non può cederli.
Questo appunto è il dramma dell’esistenza umana, singola e soprattutto di gruppo: privilegi di gruppo, poteri di gruppo, nel mondo, nelle nazioni, nella Chiesa, nelle istituzioni religiose, nelle case religiose … È questa la forza del faraone che penetra ovunque, che è presente con i suoi tentacoli ovunque, in tutti noi. Una forza che, dicevo, non è brutta come presenza, anzi è nobile, gentile ed ha delle parole molto sagge; si limita a dichiarare: « No, questo non si può fare ». Ecco il faraone.
Se vogliamo ancora sapere chi è il faraone in noi, possiamo meditare la lista delle dodici attività faraoniche, data in Mc. 7, 22-23, ma partendo dal v. 21: «Dal di dentro – cioè dal cuore degli uomini – escono le intenzioni cattive ». Il faraone in noi è questa cattiveria di intenzioni non indotte dal di fuori, bensì originate dentro di noi, che poi si coagulano nei gruppi e nelle varie forme di resistenza e di potere, diffuse in tutti i luoghi. Sono queste le attività faraoniche della possessività e dello sfruttamento dell’altro: «Fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganni, impudicizie, invidie, calunnie, superbia, stoltezza ».
Ognuna di queste parole esprime un atteggiamento che è nel cuore, non soltanto di qualche uomo e di qualche donna, ma di ciascuno di noi. Noi le abbiamo dentro tutte queste tendenze che mirano a sopraffare, a possedere, a impadronirsi dell’altro, almeno con una piccola parola d’invidia, o con una piccola maldicenza, che ci permetta una rivalsa sul piccolo potere che l’altro ha acquistato. Ed ecco che già il faraone si sviluppa in noi.