Omelie

Omelia domenica 26 settembre

La preghiera vera di intercessione.

Ora desidero chiedere al Signore di farci fare un altro passo avanti. Di farci intendere qual è il senso
profondo di una vera preghiera per la pace, che sia una preghiera di intercessione nel senso biblico, simile
alla preghiera di Abramo, alla preghiera di Gesù su Gerusalemme.
Che cosa significa, Signore, fare davvero una preghiera di intercessione? Donaci, o Spirito santo di Dio, uno
spirito autentico di intercessione in questo momento.
1. Intercedere non vuol dire semplicemente “pregare per qualcuno”, come spesso pensiamo.
Etimologicamente significa “fare un passo in mezzo”, fare un passo in modo da mettersi nel mezzo di una
situazione.
Intercessione vuol dire allora mettersi là dove il conflitto ha luogo, mettersi tra le due parti in conflitto.
Non si tratta quindi solo di articolare un bisogno davanti a Dio (Signore, dacci la pace!), stando al riparo.
Si tratta di mettersi in mezzo. Non è neppure semplicemente assumere la funzione di arbitro o di mediatore,
cercando di convincere uno dei due che lui ha torto e che deve cedere, oppure invitando tutti e due a farsi
qualche concessione reciproca, a giungere a un compromesso. Cosi facendo, saremmo ancora nel campo
della politica e delle sue poche risorse. Chi si comporta in questo modo rimane estraneo al conflitto, se ne
può andare in qualunque momento, magari lamentando di non essere stato ascoltato.
Intercedere è un atteggiamento molto più serio, grave e coinvolgente, è qualcosa di molto più pericoloso.
Intercedere è stare là, senza muoversi, senza scampo, cercando di mettere la mano sulla spalla di entrambi
e accettando il rischio di questa posizione.
In proposito troviamo nella Bibbia una pagina illuminante. Nel momento in cui Giobbe si trova, quasi
disperato, davanti a Dio che gli appare come un avversario, con cui non riesce a riconciliarsi, grida:
“Chi è dunque colui che si metterà tra il mio giudice e me? chi poserà la sua mano sulla sua spalla e sulla
mia?” (cf Gb 9,33-39, vers. spec.).
Non dunque qualcuno da lontano, che esorta alla pace o a pregare genericamente per la pace, bensì
qualcuno che si metta in mezzo, che entri nel cuore della situazione, che stenda le braccia a destra e a
sinistra per unire e pacificare.
È il gesto di Gesù Cristo sulla croce, del Crocifisso che contempliamo questa sera al centro della nostra
assemblea. Egli è colui che è venuto per porsi nel mezzo di una situazione insanabile, di una inimicizia
ormai giunta a putrefazione, nel mezzo di un conflitto senza soluzione umana. Gesù ha potuto mettersi nel
mezzo perché era solidale con le due parti in conflitto, anzi i due elementi in conflitto coincidevano in lui:
l’uomo e Dio.
Ma la posizione di Gesù è quella di chi mette in conto anche la morte per questa duplice solidarietà; è quella
di chi accetta la tristezza, l’insuccesso, la tortura, il supplizio, l’agonia e l’orrore della solitudine esistenziale
fino a gridare:
“Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46).

Questa è l’intercessione cristiana evangelica. Per essa è necessaria una duplice solidarietà. Tale solidarietà
è un elemento indispensabile dell’atto di intercessione. Devo potere e volere abbracciare con amore e senza
sottintesi tutte le parti in causa. Devo resistere in questa situazione anche se non capito o respinto dall’una o
dall’altra, anche se pago di persona. Devo perseverare pure nella solitudine e nell’abbandono. Devo avere
fiducia soltanto nella potenza di Dio, devo fare onore alla fede in Colui che risuscita i morti.
Tale fede è difficile, per questo l’intercessione vera è difficile. Ma se non vi tendiamo, la nostra preghiera
sarà fatta con le labbra, non con la vita.
Naturalmente un simile atteggiamento non calpesta affatto le esigenze della giustizia. Non posso mai
mettere sullo stesso piano assassini e vittime, trasgressori della legge e difensori della stessa. Però, quando
guardo le persone, nessuna mi è indifferente, per nessuno provo odio o azzardo un giudizio interiore, e
neppure scelgo di stare dalla parte di chi soffre per maledire chi fa soffrire. Gesù non maledice chi lo
crocifigge, ma muore anche per lui dicendo: “Padre, non sanno quello che fanno, perdona loro” (Le 23,34).
2. Se una preghiera non raggiunge questa duplice solidarietà, se intercede perché il Signore soccorra l’uno
e abbatta l’altro, ignora ancora il bisogno di salvezza di chi è eventualmente nel torto, di chi ha scelto contro
Dio e contro il fratello, lo abbandona, non gli mette la mano sulla spalla, e la sua non è una preghiera di
intercessione.
Nella misura dunque in cui facciamo delle scelte esclusive nel nostro cuore, e condanniamo e giudichiamo,
non siamo più con Gesù Cristo, nella situazione che lui ha scelto, e dobbiamo dubitare della validità e della
genuinità della nostra preghiera di intercessione.
3. Vorrei far notare che questo mettersi in mezzo non va concepito come un mezzo tattico, tanto per
superare un’emergenza. È chiamato a diventare un modo di essere di chi vuole operare la pace, del
cristiano che segue Gesù. Non abbiamo il diritto di restare in una situazione difficile solo fino a quando è
sopportabile. Occorre volerci restare fino in fondo, a costo di morirci dentro. Solo così siamo seguaci di quel
Gesù che non si è tirato indietro nell’orto degli ulivi.
4. Noi ci accorgiamo che una vera intercessione è difficile; può essere fatta solo nello Spirito Santo e non
sarà necessariamente compresa da tutti. Ma se un desiderio essa suscita è questo: di essere in questo
momento nei luoghi del conflitto, nelle strade di Bagdad o di Riad o di Bassora, nelle strade di Tel Aviv, dove
cittadini inermi sono minacciati e uccisi. Stare là in pura passività, senza alcuna azione politica o alcun
clamore, fidando solo nella forza della intercessione. Stare là, come Maria ai piedi della croce, senza
maledire nessuno e senza giudicare nessuno, senza gridare alla ingiustizia o inveire contro qualcuno.
Se la guerra sarà abbreviata, e noi lo chiediamo con tutto il cuore, uniti insieme con il Papa, se la forza dei
negoziati soverchierà di nuovo – lo speriamo presto – la forza maligna degli strumenti di morte, ciò sarà
certamente anche perché nei vicoli delle città dell’Oriente, nei meandri attorno alle moschee o sulla spianata
del muro occidentale di Gerusalemme ci sono piccoli uomini e piccole donne, di nessuna importanza, che
stanno là, così, in preghiera, senza temere altro che il giudizio di Dio; prostrati, come dice Neemia, davanti al
Signore loro Dio, confessando i loro peccati e quelli di tutti i loro amici e nemici, finché non si avveri la
profezia di Isaia:
“In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’egiziano in Assiria; gli
Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria,
una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore degli eserciti: ‘Benedetto sia l’Egiziano, mio
popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità’” (Is 19,21-25).

Carlo Maria card. Martini

Omelia nella veglia per la pace organizzata dai giovani di A.C. |

Milano | Duomo, 29 gennaio 1991

S.Messa comunitaria  al centro parrocchiale.
Omelia di don Umberto