La Via

La Via 21 febbraio

LA TENTAZIONE DI ESSERE FELICI
(Lc 9,28b-36)
Il titolo l’ho copiato di sana pianta dall’ultimo libro che ho letto.
L’ho copiato senza neanche pagare i diritti d’autore. Non si fa, lo so. Ma copiare è roba da persone intelligenti.
L’ho trovato calzante. L’abito giusto da far indossare all’apostolo Pietro quel giorno sul monte Tabor, di fronte alla Trasfigurazione del Maestro.
Se ne uscì con un “è bello per noi stare qui!”
Mitico Pietro, così splendidamente in grado di rappresentarci tutti, noi che amiamo gli incanti, noi tentati sempre di fermarci dove si è felici, dove si sta bene, dimenticandoci del destino degli altri.
Non ci scrolliamo mai di dosso questa sindrome del nido caldo: e via a cercarlo, chi nella famiglia, chi nel lavoro, chi nella comunità.
Per poi sentire che non si appartiene mai a nessuno, soltanto si cerca sempre dove si possa essere felici.
Quando siamo felici vorremmo bloccare il tempo, piantare le tende come gli apostoli.
Peccato però essere discepoli di un Maestro che invece chiede di scendere a valle, a praticare la prossimità con chi soffre come insopprimibile esigenza d’amore.
E a regalare la nostra eventuale felicità a quei fratelli che da troppo tempo non sanno cos’è, quasi toccandoli per fare loro forza, togliendo loro la paura.
Una felicità da rimettere continuamente in gioco, che non sia fatta di uno stare fermi ma di un continuo ripartire.
Per questo insieme a Pietro oggi la liturgia ci parla di Abramo.
Sempre in cammino, mai fermo.
Ma probabilmente un uomo felice.
Non avrebbe nessun motivo per esserlo, se non la promessa di Dio.
E la sua personale capacità di non accantonare il suo sogno anche quando le cose proprio non girano, o addirittura ti remano contro.
Abramo è uno che ha intuito la tecnica di Dio: intervenire quando tutte le possibilità dell’uomo sono bruciate e non c’è più nulla da aspettarsi.
Per questo io lo penso felice.
E senza bisogno di piantare tende, di costruirsi una casa o di investire in immobili.
Felice di quella felicità interiore che può essere donata senza mai diminuire, può essere condivisa senza essere perduta.
A patto però di stare allo stile di Dio: l’uomo in genere è statico e ripetitivo, Dio è dinamico e sorprendente.
Scappa sempre avanti, spalanca orizzonti, accelera i passi.
Soprattutto quelli di chi accetta di scendere dal monte del proprio io per mescolarsi tra i volti dei fratelli.
È vero, forse la felicità non è di questo mondo, ma anche all’infelicità non dobbiamo permettere di essere troppo di casa.
Don Umberto