La Via

La Via 31 marzo

LA TERRA, LA CASA, DIO                        (Lc 15,1-3.11.32).

Il senso di questa pagina evangelica appare piuttosto trasparente e noto ai più: Dio è come un padre buono che ci perdona.

Ma la comprensione adeguata oggi, non può non passare attraverso un confronto con la prima lettura.

Da questo confronto l’interpretazione della parabola appare un po’ diversa.

Oltre che essere una sorpresa penso che questo sia un beneficio.

Fa sempre bene infatti contrastare l’ovvietà e la scontatezza soprattutto quando sono frutto dell’abitudine.

La prima lettura, pertanto, presenta il ritorno dei figli di Israele nella loro terra dopo un lungo tempo passato in esilio in Egitto.

Più che esilio bisognerebbe parlare di schiavitù.

Anche il Vangelo ci descrive un ritorno: quello del figlio che rientra a casa dal Padre.

Anch’egli esce da una schiavitù: quella delle sue voglie, dei suoi peccati, del suo egoismo.

Ma la pagina del libro di Giosuè aggiunge un particolare.

Quando il popolo di Israele mangiò i frutti della terra, cessò di cadere la manna dal cielo.

Il popolo da quel momento deve quindi stare sulla terra con una precisa responsabilità, prendersene cura.

E questa cura della terra sarà espressione della verità e autenticità del suo rapporto con Dio.

Quanto più sapranno di essere tornati alla libertà, tanto più staranno sulla terra non solo come ospiti che ne approfittano, ma come uomini che la amano.

Questa sarà la manifestazione della loro fede.

La stessa lettura possiamo dare alla pagina evangelica.

La terra infatti è una casa comune.

Quella casa nella quale torna il figlio ribelle e perduto.

Vorrebbe restarci come servo, ma il Padre lo vuole libero.

La casa è sua, sarà chiamato quindi a prendersene cura e ad averne responsabilità.

Esattamente ciò che non ha ancora compreso il figlio maggiore che in quella casa ha continuato a vivere come un estraneo.

Terra e casa sono il simbolo del creato e della società.

Il rapporto con esse dice molto del nostro rapporto con Dio. E da questo, nella consapevolezza di avere ricevuto un dono dal Padre, dipende la qualità della nostra cura di esse. La nostra fede non è intimismo.

Si nutre di opere, di gesti, di azioni concrete.

Ci aiuti il Signore a smettere di vivere da servi.

Don Umberto