La Via

La Via 5 febbraio

IL SALE DELLA VITA  (Mt 5,13-16).

Mangiare il sale da solo non è per niente un’esperienza gratificante.

L’asprezza del suo sapore è insopportabile al palato perché il sale ha sempre bisogno di accompagnare qualcos’altro.

Che si tratti di insaporire o che si tratti di conservare, il sale ha poco senso se preso da solo.

Metafora della vita del discepolo anche in questa particolare accezione il sale quindi ci parla.

E ci dice chi siamo e chi dovremmo cercare di essere.

Abbiamo costantemente bisogno deli altri, così come loro ne hanno di noi.

Da soli non siamo niente: anzi, come il sale, rischiamo di essere sgradevoli e indigesti.

Tutto ciò che ha un buon sapore è invece desiderabile.

La vita dei discepoli di Gesù è tale quando ha un buon sapore.

Così accadeva agli albori del cristianesimo: il modo di vivere dei primi discepoli suscitava interesse.

Da questo interesse nasceva poi il desiderio di imitazione e quindi la conversione.

Era la vita desiderabile di coloro che si professavano cristiani.

Oggi, se qualcuno che non crede, guardasse a noi, proverebbe il desiderio di farsi cristiano?

Considerando le nostre opere buone potremmo noi suscitare la domanda e lo stupore: da dove viene questa sorprendente gioia? E questa pace del cuore?

E questa costante e incrollabile pazienza?

Sono infatti queste quelle opere buone (di cui ci parla la 1a lettura) che danno sapore alla vita.

Sono opere che riguardano la carità, la fraternità, l’altruismo inteso non come gesti sporadici ma come stile dell’esistenza.

E così come nessun cibo può resistere alla potenza del sale, allo stesso modo nessun cuore può restare indifferente di fronte a uomini e donne che vivono così.

L’amore è contagioso.

La bontà è disarmante.

La fraternità è vincente.

La nostra fede, la nostra vita, anche se umile e talora vacillante, è sufficiente, per grazia di Dio, a dare sapore alla pasta del mondo e all’umanità.

Don Umberto