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Omelia domenica 18 ottobre

Penso, in particolare, a quanti hanno compiti e responsabilità all’interno della comunità: vescovi, sacerdoti, ma anche catechisti e animatori.
E penso che dobbiamo ancora fare tanta strada, stare attenti a non cadere nell’inganno della mondanità, guardare sempre e solo al Maestro, che ha amato, senza attendersi dei risultati e ottenendoli proprio dando il meglio di sé, in assoluta umiltà e mitezza.
La comunità è chiamata a dare una testimonianza di misericordia e di perdono, a partire dal proprio interno. Ma prima anche noi dobbiamo passare nel torchio della croce, sperimentando la nostra povertà per abbracciare ogni uomo con quello sguardo di tenerezza e di misericordia che Dio posa su di me.
Potere da gestire come servizio alla felicità dell’altro. Potere che può e deve diventare gioia di suscitare nell’altro potenzialità e risorse a lui stesso sconosciute.
Possano le nostre comunità, marchiate dalla croce, mettersi a servizio dell’umanità, diventare missionarie di misericordia, di tenerezza, di servizio. Gratuità, sorriso, piena umanità che, ricevute da Cristo, contagiano i nostri quartieri, le nostre famiglie, le nostre scuole.
Passiamo dalla logica del sospetto a quella della fiducia, dalla logica dell’accaparramento a quella della condivisione.
Fra noi sia così, fra noi è così, se ci accosteremo al distributore di grazia, come suggerisce la lettera agli Ebrei, il Signore Gesù. Lui, l’amico degli uomini, l’Amante senza misura, la sorgente della tenerezza, che ci chiama a diventare suoi testimoni.