La Via

La Via 20 marzo

VOLGERE LO SGUARDO AL CROCIFISSO. (Lc 22,14-23,56)

È quasi un anticipo di Pasqua.
Il grande racconto della Passione, così come ce lo riporta Luca ci conduce fin sotto la croce.
E proprio lì dobbiamo arrivare.
A fermarsi prima si rischia di non conoscere il vero volto di Gesù, si rischia il grande equivoco, il grande fraintendimento di un Dio potente ma lontano.
Un Dio che ancora tanti vorrebbero: in grado di proteggerci da tutto in cambio di prestazioni devozionali.
La croce invece è la grande icona del credente. È lo spettacolo da cui non si dovrebbe mai togliere lo sguardo, lo sguardo del cuore.
Perché ci sono, in realtà altri sguardi. C’è lo sguardo malevolo, lo sguardo giudicante, lo sguardo disinteressato e quello solo incuriosito.
Lo sguardo del cuore è quello di chi ama, di chi su di sé prende la fatica dell’altro, di chi entra nella sua passione.
Si può essere feriti con lo sguardo del cuore.
E mi colpisce quindi, forse mi ferisce in questo lungo racconto lucano l’incomprensione totale tra Gesù e i suoi.
E la conseguente solitudine del Signore.
A tavola, mentre Gesù si consegna, loro discutono su chi sia il più grande.

Al Getsemani, mentre Gesù prega ed è in agonia, loro dormono.
Forse cercano sollievo alla tristezza attraverso il sonno. Gesù lo fa attraverso la preghiera.
E Dio lo conforta.
Ma il conforto di Dio non esonera dalla passione. Libera invece dalla disperazione.
E forse proprio questo è il male radicale: non la sofferenza ma la disperazione.
Quella sensazione di completo abbandono, di smarrimento assoluto e totale, quel sentirsi inghiottiti dalle tenebre che toglie ogni minimo spiraglio di luce.
Ma poi, all’improvviso, la consolazione di Dio appare.
E noi, insieme a Gesù, grazie al nostro sguardo del cuore ci sentiamo risollevati proprio laddove non ce l’aspettavamo più.
In quell’inatteso dialogo tra Gesù e il buon ladrone rifiorisce la speranza.
Mi piace questa espressione “buon ladrone”.
Sembra che non sia la qualità delle opere passate a condannare una persona al ruolo di buono o cattivo, ma la sua professione di fede.
E la sua capacità di confessare le proprie colpe chiedendo perdono.
Così all’abbandono da parte di tutti i discepoli, alla loro fuga dinnanzi alla croce fa da contrappeso la conversione di questo delinquente che accompagna Gesù in Paradiso.
Sotto la croce in tanti chiedevano a Gesù di salvare se stesso. Per fortuna non l’ha fatto. Ha salvato noi.
Noi che non gli chiediamo di liberarci dalle tante sofferenze e passioni della vita ma di convertirne la qualità.

Don Umberto