Celebrare e vivere la liturgia

IL SENSO DELLA LITURGIA.
Certe nature gravi e serie, tutte rivolte alla ricerca e alla contemplazione della verità,
che in ogni cosa vedono il compito morale e dovunque cercano il fine, incontrano
facilmente nella liturgia una difficoltà singolare. La liturgia appare loro facilmente come
qualcosa senza scopo, un cumulo superfluo di cose, una realtà inutilmente complicata,
artificiosa. Costoro si scandalizzano che la liturgia fissi con tanta minuziosità ciò che si
deve compiere prima e ciò che deve avvenire dopo, se a destra o a sinistra, ad alta voce o
piano. A che scopo tutto ciò? L’essenziale nella Santa Messa, l’offerta e la consumazione
del cibo divino, può essere compiuto così semplicemente: perché tale grande
spiegamento di un rituale levitico? Le necessarie consacrazioni potrebbero essere fatte
così semplicemente con poche parole, i sacramenti essere amministrati senza
complicazioni rituali: a che pro’ tutte quelle preghiere e cerimonie?
La liturgia può avere per costoro un carattere di gioco e di teatralità.
2) Il concetto di scopo pone il centro di gravità d’una cosa al di fuori ed al di là di essa;
tale concetto la considera quale tramite per un movimento che va oltre e precisamente si
dirige alla meta. Ogni cosa, pertanto, è anche – e taluna lo è quasi del tutto – un
quid a sé stante, uno scopo a sé, nella misura in cui si può applicare ancora questo
concetto in tale più ampia significazione, cui si adatta meglio il concetto di senso. Tali cose
non hanno scopo nella stretta accezione della parola; hanno però un senso. E questo
senso è mostrato, non dal fatto che esse producono fuori di sé un effetto ovvero
contribuiscono alla costituzione o alla modificazione di qualcosa d’altro,
bensì il loro significato consiste nel loro essere quello che sono. Nella rigorosa accezione
dei vocaboli, esse sono senza scopo, ma piene di senso.
Qual è ora il senso di ciò che è? D’esistere e d’essere un riflesso del Dio infinito. E qual è
il senso di ciò che vive? Di vivere, esplicare l’intima essenza propria, di fiorire quale
rivelazione naturale del Dio vivente.
Lo scopo è il fine dello sforzo, del lavoro, dell’ordine; il senso è il contenuto dell’esistenza,
della vita che fiorisce e matura. I due poli dell’essere pertanto sono: scopo e senso.
3) La liturgia non ha “scopo”, o almeno non può essere ridotta soltanto sotto l’angolo
visuale della sola finalità pratica. Essa non è un mezzo impiegato per raggiungere un
determinato effetto, bensì – almeno in una certa misura – fine a sè.
La liturgia non può avere “scopo” alcuno anche per questo motivo: perché essa, presa in
senso proprio, ha la sua ragione d’essere non nell’uomo, ma in Dio.
Nella liturgia l’uomo non guarda a sé, bensì a Dio; verso di Lui è diretto lo sguardo. In essa
l’uomo non deve tanto educarsi, quanto contemplare la gloria di Dio. Il senso della liturgia

è pertanto questo: che l’anima stia dinanzi a Dio, si effonda dinanzi a Lui, si inserisca nella
Sua vita.
4) Anche nell’ambito delle cose terrene vi sono due fenomeni che accennano alla
stessa tendenza: il gioco del bambino e la creazione dell’artista.
Nel gioco il bambino non si propone di raggiungere nulla, non ha alcuno scopo. Non mira
ad altro che ad esplicare le sue forze giovanili, ad espandere la sua vita nella forma
disinteressata dei movimenti, delle parole, delle azioni, e con ciò a crescere, a diventar
sempre più perfettamente se stesso. Senza scopo, ma piena di significato profondo è
questa giovane vita; e il senso non è altro che questo: che essa si manifesti senza
impedimenti nei pensieri, nelle parole, nei movimenti, nelle azioni, si renda padrona
dell’essere suo, semplicemente esista. Nell’arte l’uomo cerca di ristabilire l’unità tra ciò che
vuole e ciò che ha; tra ciò che dev’essere e ciò che è; tra l’anima ch’è dentro di noi e la
natura ch’è fuori di noi; tra il corpo e lo spirito. Tali sono le creazioni dell’arte. Non hanno
dunque alcuno scopo istruttivo, non mirano ad insegnare determinate verità o virtù.
Nessun artista si è mai proposto questo. Nell’arte l’artista non mira ad altro che a risolvere
questa tensione interiore, a dar espressione nel mondo dell’immaginazione a quella vita
superiore a cui anela e che nella realtà raggiunge solo approssimativamente. L’artista non
vuol altro se non dare una realtà esteriore al suo essere intimo ed al suo anelito,
assicurare alla verità interiore forma concreta. E solo chi sa prendere sul serio l’arte ed il
gioco può comprendere perché con tanta severità ed accuratezza la liturgia stabilisca in
una moltitudine di prescrizioni come debbano essere le parole, i movimenti, i colori, le
vesti, gli oggetti di culto.
Hai tu veduto mai con quale serietà i bambini stabiliscono le regole nei loro giochi, in che
modo deve svolgersi il loro girotondo, come tutti debbano tenere le mani, che significhi
questo bastoncino o quell’albero? E non hai letto mai, oppure direttamente sperimentato,
con quale spietata serietà l’artista stia al servizio dell’arte, come egli soffra sotto «la
parola» che non si presenta adeguata all’idea, quale padrona esigente sia la forma?
La stessa cosa fa la liturgia. Anch’essa ha cercato con cura infinita, con tutta la serietà del
bambino e la coscienziosità rigorosa del vero artista, di dare espressione in mille forme
alla vita dell’anima.
5) Il compito, pertanto, della educazione liturgica comprende anche questo aspetto:
l’anima deve apprendere a non vedere dovunque scopi, a non essere troppo sensibile ai
motivi utilitari, troppo prudente, troppo adulta, bensì deve sapere anche vivere
semplicemente.
Non voler far sempre qualche cosa, raggiungere qualche cosa,qualcosa produrre od
ottenere di utile, bensì apprendere a fare in libertà, bellezza, santa letizia dinanzi a Dio il
gioco da Lui regolato della liturgia.
Da Romano Guardini “Lo spirito della liturgia”
Tra le tante attività delle comunità cristiane, la liturgia è «la [sola] cosa di cui c’è bisogno»,
è «la parte migliore» che esse possono scegliere. Per tante e diverse ragioni nei prossimi
decenni si sarà costretti a diminuire, se non a rinunciare a molte delle attuali attività
ecclesiali, ma l’ascolto della Parola, la preghiera di intercessione, di lode e di azione di
grazie insieme alla frazione del pane sono l’optimam partem dell’agire della chiesa che,
secondo la promessa di Gesù, «non le sarà tolta». In questo il ministero liturgico dei
presbiteri svolge un ruolo fondamentale. Il presbitero deve essere abitato dalla
consapevolezza che le azioni sacramentali che egli presiede in nome di Cristo e in nome
della chiesa sono le azioni più efficaci del suo ministero, e nessun’altra attività che egli

compia ne uguaglia l’efficacia. Credere che la liturgia è l’azione più efficace della chiesa
significa anzitutto credere che essa è quella realtà che più di ogni altra può decentrare
interamente il presbitero non solo da se stesso, dalle proprie convinzioni, capacità e
strategie, ma anche da ciò che egli vuole fare della liturgia o, meglio, vuole che la liturgia
sia. L’efficacia propria della liturgia è il principale antidoto alla sua strumentalizzazione. A
volte si ha l’impressione che alcuni comprendano e vivano la liturgia come un mero
strumento che garantisce loro di avere ogni domenica un’assemblea a disposizione, alla
quale trasmettere insegnamenti di ogni genere. Ridurre la liturgia a questo, significa non
credere alla sua efficacia e in tal modo non credere che è solo e unicamente la parola del
Signore che parla al cuore degli uomini e non le parole umane. Non credere che è solo lo
Spirito santo, attraverso la Parola e i sacramenti, che genera, nutre e fa crescere la vita di
fede dei cristiani e non il tanto agitarsi, le innumerevoli, affannose e a volte persino
ansiogene attività pastorali. Il cardinale Godfried Danneels ha con forza evidenziato come
la liturgia abbia la sua origine e il suo fine in se stessa:
Spesso la liturgia è diventata una scuola. Vi si vuole mettere di tutto. Essa, invece, deve
restare un’attività simbolica e Iudica. La vera liturgia si celebra nei monasteri. Là, almeno,
non serve a nulla! Non è catechesi e le omelie sono fatte di poche parole: non è nulla di
molto artistico, ma è bella in sé. Consiste nell’accoglienza gustosa di Cristo attraverso
l’azione liturgica. L’anima e il corpo sono catturati, anche se l’intelligenza non ha capito tutto.
La chiesa di domani o sarà liturgica o non sarà pienamente se stessa, nel senso che o
riscoprirà il primato dell’azione di Dio che è primato dell’ascolto della sua Parola e primato
della celebrazione della fede, oppure rischierà di perdere qualcosa di essenziale. Per i
presbiteri, esercitare con arte e sapienza il ministero liturgico significa lavorare fin da ora
per una chiesa meno organizzativa e più contemplativa. Questo è discernere l’unum
necessarium, questo è scegliere l’ optimam partem che non sarà mai tolta.
Occorre investire un maggior numero di forze umane e spirituali nella liturgia e nella vita
sacramentale, con la certezza che la liturgia è più necessaria dell’utile, nonostante le
fatiche e le incomprensioni di coloro che minimizzano e misconoscono la sua importanza.
La valorizzazione dello spazio liturgico, dell’arte, del canto, della musica, del suono di uno
strumento, della ricerca della bellezza di un gesto, di un tessuto, del profumo di un incenso
non devono essere considerati inutili e non necessarie. Cristina Campo, letterata e
poetessa, autentica credente e grande amante della liturgia, ha scritto: «La liturgia – come
la poesia – è splendore gratuito, spreco delicato, più necessario dell’utile».
Davvero, la liturgia è più necessaria dell’utile, perché la liturgia ha la sua radice in quel
vaso di nardo prezioso che una donna versò sul capo e sui piedi di Gesù come profezia
della sua morte. Si ha la netta impressione che Gesù sia rimasto affascinato da quello
spreco incantevole fatto per lui, solo e nient’altro che per amore di lui. Uno spreco che
Gesù stesso oppose alla miope filantropia di Giuda che, impersonando un ruolo che ben
conosciamo, ne reclamava il prezzo per i poveri. Sappiamo cosa affermò Giuda: «Perché
quest’ olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?» (Gv
12,5). Ed è altrettanto ben nota la risposta di Gesù: «I poveri li avete sempre con voi, ma
non sempre avete me» (Gv 12,8). Anche Dio, come l’uomo, ama dei gesti gratuiti, gesti
fatti solo per amore di lui, come fu l’unzione del corpo di Gesù da parte di quella donna.
«Tutta la casa si riempì del profumo» dice il racconto giovanneo: da allora ogni liturgia
cristiana profuma del nardo molto prezioso di quella donna, perché la liturgia è «splendore
gratuito, spreco delicato, più necessario dell’utile». Occorre custodire la liturgia della
chiesa e, custodendola, essa trasmetterà la fede della chiesa.
Da Goffredo Boselli “Liturgia e trasmissione della fede oggi”

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