La Via

La Via 3 maggio

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PERFETTI?    (Gv 15, 1-8).
Mi affiorano alla mente pensieri e domande di fron
all’affermazione centrale di questo vangelo: “in questoglorificato il Padre mio, che portiate molto frutto.”
Cosa significa portare frutto? E soprattutto cosa vuol dche Dio viene glorificato?
La glorificazione di Dio è la perfezione perché Dio è perfezione.
Per noi cristiani allora la perfezione consiste nel portarefrutto.
Ed è di fronte a queste parole di Gesù che si snodanomie riflessioni.
Per molti secoli della nostra storia la perfezione cristianha coinciso con l’assenza di difetti.
Enormi sforzi spirituali, morali, educativi erano concentratsul dominio completo delle passioni, sulla purezza ritualsulla sottomissione dello Spirito e sulla mortificazione.
Chiaro che tutte queste cose non hanno perso il loro valore.

La perfezione però non consiste in esse, ma nella fecondità, cioè nel generare vita, non solo biologica, intorno a sé. E questo non coincide con l’assenza di difetti.
Si può essere persone formalmente ineccepibili e corrette, ma totalmente aride e sterili.
Si possono avere difetti, anche vistosi a volte, ma essere persone con una grande capacità di coinvolgere gli altri suscitando il bene.
A volte penso che il grande conflitto dell’esistenza umana, prima ancora che cristiana, sia quello tra fecondità e sterilità.
Non dobbiamo rassegnarci all’idea di non essere perfetti, perché la perfezione è raggiungibile. A patto che la concepiamo come il portare frutto.
La perfezione del frumento è la spiga, non l’assenza di zizzania.
Quale forma ha concretamente questo portare frutto?
Un suggerimento viene dalla prima lettura, nella splendida figura di Barnaba che va in cerca di Saulo per riavvicinarlo, per farlo uscire dal suo isolamento, per valorizzarlo proprio quando tutti lo avevano scartato.
La fecondità è un incontro che guarisce davvero dalla solitudine, è una parola buona detta non per dovere, è un gesto di attenzione che non chiede nulla in cambio.
Nessuna morale del sacrificio vale quanto uno stile di vita fecondo;
e nessuna asettica perfezione è gradita a Dio quanto un cuore amorevole.

Don Umberto e Don Stefano