Alfio Caruso.

Secondo incontro del ciclo CONVERSAZIONI 2014, ospitiamo Alfio Caruso con il libro ” Un secolo Azzurro”.

Un secolo azzurro è un saggio in cui Alfio Caruso ripercorre cento anni di storia italiana visti attraverso il punto di vista della nazionale di calcio. Una passione, quella per il calcio, che da sempre, oggi come allora, ha in qualche modo inciso sulla storia dell’Italia.

Alfio Caruso nasce a Catania nel 1950. Dopo la laurea esordisce nel giornalismo scrivendo per Il corriere della sera e nel 1974 si ritrova ad essere tra i fondatori del Giornale. Negli anni ’80 lavora al Corriere e alla Gazzetta dello sport, rispettivamente come caporedattore e vicedirettore, e nel 1995 diventa co-direttore del Messaggero, mentre nel 1996 è direttore editoriale della Nazione – Resto del Carlino – Giorno. Parallelamente alla sua carriera giornalistica sviluppa una carriera letteraria scrivendo romanzi thriller e saggi sulla storia italiana e sulla mafia. Ha pubblicato le sue opere con Leonardo, Rizzoli, Longanesi, Einaudi e Neri Pozza.

“Il libro – spiega Caruso – è stato scritto per dar modo all’autore di divertirsi nel raccontare una favola, che lo aveva molto divertito, e di rivivere sensazioni, vicende, incontri che l’avevano molto coinvolto. Malgrado le divisioni, che suscita, il calcio mi pare, paradossalmente, l’unica materia unificante del Paese, anche nel male. Fa rivivere quotidianamente l’Italia dei campanili, tuttavia ci ha regalato quei pochi momenti in cui ci siamo ‘stretti a corte’. Per me resta indelebile il pomeriggio della finale mondiale di Madrid, 11 luglio ’82, contro la Germania: 40 mila italiani in marcia verso il Bernabeu avvolti nei tricolori, dopo che nel decennio precedente ci avevano sputato sopra, e poi al momento dell’inno il tentativo di cantarlo, ma nessuno seppe andare oltre la prima strofa, perché avevamo spregiato anch’esso. L’unico che l’intonò fino al ‘sì’ finale fu Pertini, impettito e imperterrito, in tribuna d’onore”.

La maglia azzurra compie cento anni, resistendo a mode e regimi, passando dalla Monarchia alla Repubblica. Un secolo di emozioni e ricordi legati all’azzurro simbolo dello sport italiano

6 Gennaio 1911, Arena di Milano. E’ il teatro di Italia-Ungheria, terzo incontro ufficiale della Nazionale dopo quelli giocati l’anno prima contro Francia e Ungheria. I giocatori scesero in campo indossando per la prima volta nella storia la maglia azzurra, in omaggio alla Casa Savoia che regnava nel Paese, in sostituzione della divisa bianca utilizzata nelle precedenti gare.

Sulla maglia azzurra troneggiava lo stemma sabaudo: il cambio del colore è frutto di una scelta dettata per porre fine a una serie di contrasti politico-sportivi tra la FIGC, fondata nel 1909, e la Pro-Vercelli, in quegli anni la società di calcio più importante e vincente. Nel 1910 lo scudetto era stato conquistato dall’Internazionale, che pose nella propria bacheca il primo titolo nazionale, vinto proprio nella sfida-spareggio contro la Pro-Vercelli, che aveva schierato, per protesta, molti giovani. Così, per la sfida contro la forte Ungheria allenata da Frigyer Minder, anziché scendere in campo con la divisa bianca, che ricalcava proprio la casacca della Pro-Vercelli, i dirigenti federali decisero di adottare l’azzurro omaggiando la Casa Savoia, che aveva quel colore nel suo simbolo sin dal 1336. L’amichevole fu vinta dai magiari grazie alla rete siglata al 23° p.t. da Imre Schlosser, detto Slozi. Il capitano della prima nazionale azzurra fu Giuseppe Milano, calciatore della Pro-Vercelli, società che vantava di avere in campo nella nazionale ben sei giocatori titolari. In panchina sedeva Umberto Meazza, che ricopriva un doppio incarico: era componente della commissione selezionatrice con Recalcati, Crivelli, Camperio e Gama e rivestiva anche il ruolo di preparatore atletico, incarico ricoperto successivamente con Vittorio Pozzo Ct.

CENTO ANNI AZZURRI – Cento anni di azzurro, mille storie ed emozioni. L’azzurro è resistito a mode e regimi, passando dalla Monarchia alla Repubblica. Tante anche le maglie, ma sempre dello stesso colore seppur in varie tonalità cromatiche. Lo stemma sabaudo rimase sulla maglia fino al 1947: in occasione della gara contro la Svizzera fece posto al tricolore, dopo l’abbinamento al fascio littorio nel periodo fascista. Per due occasioni fu adottata la maglia nera, nel 1938, durante il campionato del Mondo in Francia, ma tale soluzione fu subito archiviata e mai più ripetuta. Utilizzata anche la maglia bianca con la fascia azzurra sul petto, esibita nello sfortunato mondiale del 1974 e rispolverata nel 1999. Ricordiamo la maglia col tricolore sul colletto nel trionfale mondiale di Spagna del 1982, le orlature marroni introdotte successivamente e il modello “kombat” utilizzato nell’Europeo 2000 in Belgio e Olanda. Le ultime evoluzioni riguardano il triangolino azzurro presente sul collo della seconda maglia, la quarta stella sul logo apparsa dopo il mondiale 2006, i particolari dorati del 2008 e l’utilizzo del “celeste storico” nella Confederation Cup del 2009. Quello odierno è il modello azzurro a tinte forti con un collo a stella che ricorda i quattro titoli mondiali vinti. Cambiano le tonalità, i loghi, i tessuti, ma l’azzurro che rievoca emozioni e ricordi resta sempre quello. E’ l’azzurro entrato nella leggenda con i quattro titoli mondiali (1934, 1938, 1982, 2006), un campionato d’Europa (1968), una Olimpiade (1936), due Coppe Internazionali (1930, 1935). E’il simbolo dello sport italiano, un azzurro che “più che un cielo può dare, più libero del mare, un azzurro lungo un sogno ” (Baglioni, Un Azzurro Lungo Un Sogno).