Qohelet

download50pdf50I libri Sapienziali
Sono chiamati «libri sapienziali» cinque libri dell’AT: Giobbe, Proverbi, Qoèlet (o Ecclesiaste), Siracide (o Ecclesiastico) e Sapienza. A questi vengono impropriamente aggiunti i Salmi e il Cantico dei Cantici. Questi libri sono espressione di una corrente di pensiero che si ritrova anche in una parte dei libri di Tobia e di Baruc.
La letteratura «sapienziale» è stata ricca di espressioni in tutto l’Oriente antico. Lungo tutta la sua storia, l’Egitto ha prodotto scritti sapienziali. In Mesopotamia, a partire dall’epoca dei Sumeri, sono attestate composizioni di proverbi, favole, poemi sulla sofferenza, del tipo del libro di Giobbe.
La sapienza mesopotamica penetrò anche in terra di Canaan. Si tratta dunque di una «sapienza» internazionale. Non si caratterizza per una particolare preoccupazione religiosa, si esplica piuttosto nel settore profano. Cerca di spiegare il destino degli individui traendo argomento dall’esperienza. Si tratta cioè di un’arte del ben vivere, con una nota di buona educazione. Insegna all’uomo a conformarsi all’ordine cosmico e intende dare il modo di essere felici e di avere successo. Di fatto non sempre ciò accade e le esperienze di fallimento giustificano il tono di pessimismo di certe opere sapienziali.
Israele ha conosciuto questo genere sapienziale. L’elogio più bello che la Bibbia ritiene di fare della sapienza di Salomone, è che essa superava quella dei figli dell’Oriente e quella dell’Egitto (1 Re 5,10) Non desta dunque stupore che le prime opere sapienziali di Israele presentino strette somiglianze con opere analoghe dei popoli vicini: provengono infatti dai medesimi territori.
Le parti più antiche dei Proverbi non danno altro che precetti di sapienza umana. Se si eccettuano il Siracide e la Sapienza, che sono gli scritti più recenti, i libri sapienziali non affrontano i grandi temi dell’AT: la legge, l’alleanza, l’elezione, la salvezza. I saggi di Israele non si preoccupano della storia e del futuro del loro popolo, la loro riflessione si sofferma sul destino individuale, analogamente ai loro colleghi d’Oriente. Ma il loro sguardo è illuminato da una luce superiore: quella della fede in Dio. Al di là dell’origine comune e delle numerose somiglianze, questo riferimento essenziale determina, nella sapienza israelita, una fondamentale differenza che va sempre più accentuandosi con il progredire della rivelazione.
L’opposizione sapienza-stoltezza diventa opposizione tra giustizia-iniquità, pietà ed empietà. La vera sapienza è in realtà il timore di Dio; e il timore di Dio è la pietà. Se la sapienza orientale è un umanesimo, della sapienza di Israele si potrebbe dire che è un «umanesimo devoto».
Ma questa valenza religiosa della sapienza si è sviluppata solo gradualmente. Il termine ebraico ha un significato complesso. Può indicare sia l’abilità manuale o professionale, il senso politico, il discernimento, sia l’astuzia, l’accortezza, l’arte della magia. Questa saggezza umana può dunque esercitarsi sia per il bene che per il male, e tale ambiguità giustifica i giudizi sfavorevoli pronunziati dai profeti contro i sapienti (cf. Is 5,21; 29,14; Ger 8,9).
Questo fatto per spiegare anche perché ci sia voluto tanto tempo prima che si arrivasse a parlare di una sapienza di Dio, nonostante sia lui a donarla agli uomini. (cf. Gb 28; 38-39; Sir 1,1-10; 16,24s; 39,12s; 42,15-43,33; ecc.).
Nel grande prologo premesso al libro dei Proverbi (Pr 1-9), la sapienza divina parla come una persona; essa è presente in Dio dall’eternità e nello stesso tempo opera insieme a lui nella creazione (soprattutto Pr 8,22-31). Così, la Sapienza come attributo di Dio si separa da lui diventando una persona. Nella fede dell’AT, espressioni così forti esulano dal campo della semplice personificazione letteraria, sottendono un margine di mistero. Questa dottrina è pertanto il fondamento dell’insegnamento sapienziale che culmina nella dottrina di un Dio sapiente e giusto che governa il mondo. Professa di appellarsi all’esperienza, ma l’esperienza spesso la contraddice
La più semplice e la più antica forma della letteratura sapienziale è mashal. È questo, al plurale, il titolo del libro che noi chiamiamo i «Proverbi».
Il mashal è più precisamente un modo di esprimersi convincente che colpisce l’immaginazione; è un detto popolare o una massima. Le antiche collezioni di proverbi contengono soltanto brevi sentenze. In seguito, il mashal si evolve, diventa parabola o allegoria, discorso o ragionamento. Tale evoluzione, già percepibile nelle brevi sezioni annesse ai Proverbi, e ancor più nel prologo (Pr 1-9), si condensa nei libri successivi: Giobbe o la Sapienza sono grandi opere letterarie.
Al di là di tutte queste forme letterarie, anche elementari, l’origine della sapienza deve essere ricercata nella vita di famiglia o di clan. Le osservazioni sulla natura e sugli uomini, stratificatesi di generazione in generazione, si sono espresse in sentenze, in detti popolari, in brevi apologhi, che avevano un’applicazione morale e che servivano come regole di comportamento. Un’origine dello stesso tipo va attribuita alle prime formulazioni del diritto consuetudinario che talvolta si trovano, associate, per contenuto e non soltanto per la forma, alle sentenze sapienziali. Questo filone di sapienza popolare si è sviluppato parallelamente alla formazione delle raccolte sapienziali.
La brevità delle sentenze, facilmente ritenibili a memoria, ne fa uno strumento tipico dell’insegnamento orale. Il padre o la madre le trasmette al figlio (Pr 1,8; 4,1; 31,1; Sir 3,1). E lo stesso maestro chiama «suo figlio» il discepolo che va formando, perché i sapienti tengono scuola (Sir 51,23.26; cf. Pr 7,1s; 9,1s). La sapienza diventa allora appannaggio della classe colta, cioè di chi sa scrivere. Sono gli scribi che forniscono i funzionari del re ed è appunto alla corte reale che inizialmente si svilupparono le dottrine sapienziali. Questa tappa segna, nell’AT, il termine di un lungo cammino all’inizio del quale si trovava Salomone, Anche in questo possiamo riscontrare il parallelo orientale: due scritti della sapienza egiziana si tramandavano come insegnamenti dati dal faraone a suo figlio. A partire da 1 Re 5,9-14 (cf. 3,9-12 e 28; 10,1-9) fino a Sir 47,12-17, Salomone venne esaltato come il massimo saggio di Israele: a lui vennero attribuite le due più antiche e più importanti raccolte dei Proverbi (10-22 e 25-29); il che spiega anche il titolo dato a tutto il libro (Pr1,1). Allo stesso modo, vennero attribuiti a lui il Qoèlet, la Sapienza e il Cantico. Tutto questo ammaestramento, dispensato poco a poco al popolo eletto, preparava la rivelazione della sapienza incarnata. Ma «qui vi è uno più grande di Salomone» (Mt 12,42).