Lectio Quaresima 2018

Pane e pietre. “Chiesa territorio e comunità” don Umberto_
VALORE DEL DIGIUNO_

Il digiuno non è fine a se stesso. Nel movimento di riscoperta di questa pratica, per tanto tempo trascurata, qualche volta le si è attribuito un valore assoluto. Nella realtà il digiuno è un collaudato mezzo d’ascesi spirituale che, insieme con la preghiera e l’elemosina, ci può mettere sulla via del giusto comportamento verso Dio e verso gli uomini.
Un momento decisivo per comprendere nel giusto modo il digiuno è dunque quello di considerarlo non in sé, ma soprattutto nella sua unione con la preghiera. Digiunare è pregare con il corpo e con l’anima.
Digiunare è un modo d’esprimere che la nostra devozione diventa corporale, che essa mette in gioco anche la carne, proprio come la Parola di Dio assunse in Gesù Cristo la carne.
La preghiera diventa carne, coinvolge anche il nostro corpo, quando si esprime nel digiuno.
Allora la nostra relazione con Dio non resta più soltanto nella nostra testa; non diciamo più a Dio soltanto delle parole devote, ma con il nostro corpo gli proviamo di tendere a Lui, riconoscendo che senza Lui siamo vuoti, che siamo obbligati a ricorrere alla sua grazia, che viviamo del suo amore e che la nostra fame non può in definitiva saziarsi di cibi terreni, ma soltanto di Dio stesso, d’ogni parola che esce dalla bocca di Dio (Matteo 4,4).
Digiunando, dichiariamo insomma la nostra esistenza di creature, che già create dalla mano di Dio, ancora in Dio trovano il loro compimento, che non s’arrestano al dono ma aspirano al donatore stesso come termine del loro desiderio. Digiunando, è con il corpo e con l’anima che tendiamo a Dio, preghiamo Dio con il corpo e con l’anima. Il digiuno è il grido del corpo a Dio, un grido dal profondo, dall’abisso in cui riconosciamo la nostra radicale impotenza, vulnerabilità e incompiutezza, per lasciarci sprofondare nell’abisso di Dio.

 

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